di Marina Pagliaro
C’era una volta un tempo in cui a Messina lo stipendio in famiglia era uno: quello di nonno. I figli erano due, i libri per la scuola si compravano “un po’ alla volta” e la spesa si faceva nella bottega sotto casa che faceva, fino al trenta del mese, credito a tutti. Poi i figli, dopo aver studiato, essersi laureati e aver realizzato la propria professione hanno dato il via all’epoca di finanziarie e carte di credito per riuscire a sbarcare il lunario, la cui data viene anticipata sempre di più rispetto al 30 del mese. Oggi, nel 2017, in una città che non detiene di certo il primato per rapporto qualità della vita e tasse, tutto questo resta solo un racconto. O meglio, in città sussistono numerose famiglie in cui a essere stipendiato è soltanto uno dei due coniugi. Sbarcare il lunario, a esempio, per una famiglia composta da quattro membri, di cui due figli ancora in età scolastica o universitaria, vuol dire non riuscire a sostenere tutte le spese quotidiane se non stringendo (e di molto) la cinghia e rendendo così necessario il ricorso a prestiti e metodi alternativi di finanziamento. L’Osservatorio diocesano della povertà e delle risorse, secondo il report della settimana scorsa, ha notato l’aumento di persone che chiedono aiuti economici e pratici alla diocesi per beni che vanno dai farmaci e alimentari, fino ad arrivare ai libri scolastici per i figli. Come vengono spesi i soldi? Si va da una media di 15 ai 25 euro al giorno per la spesa quotidiana, per un totale che va dai 450 ai 750 euro, senza tener conto della qualità dei prodotti ma favorendo i discount a miglior prezzo e facendo, prima di uscire, una valutazione certosina dei volantini con le promozioni della settimana (il che a discapito di due fattori: serenità mentale e alimentazione che viene mantenuta al di sotto degli standard consigliati dall’OMS che prevedono una dieta ricca, meglio se mediterranea, con un primo e con un secondo per pasto, irrimediabilmente spalmati, invece, nelle famiglie monoreddito, su tutta la giornata – primo a pranzo e secondo a cena o viceversa). Nessun genitore, poi, direbbe di no al sabato in pizzeria dei figli, rito di passaggio più o meno obbligatorio a tutte le fasce d’età. Son cosi 30 euro da spendere almeno 4 volte la settimana, per un totale di 120 euro al mese. Contiamo, ancora, le spese per le bollette del gas, della luce e del telefono fisso (per i pochi che non hanno già disattivato la linea da anni) che si aggirano intorno ai 300 euro mensili. Siamo arrivati ad aver così speso oltre 1000 euro. Cosa resta allora per chi, fra i più, prova a vivere con 1300 euro al mese? Certamente i costi di benzina, le spese del condominio e dell’acqua e, per i meno fortunati, anche quelle dell’affitto. Per non parlare, poi, del prezzo dei libri di testo universitari (che spesso vanno obbligatoriamente comprati originali secondo le velleità del docente) e senza contare, infine, le spese per i farmaci e per le visite mediche (di routine o specialistiche). Ordinaria amministrazione, questa, nei mesi in cui le scadenze, come IMU, TARI, bollo, assicurazione e tasse universitarie non gravano, ulteriormente, sull’economia della casa. Non abbiamo, poi, contato le spese di ricariche telefoniche che, per una famiglia di 4 persone, dotata almeno di 4 cellulari, potrebbe arrivare anche a 60 euro al mese. L’aumento dei “compro oro”, dei centri scommesse e di agenzie di finanziamento hanno il loro perché: a cosa dovrebbero infatti rinunciare le famiglie per riuscire ad arrivare a giorno 30 con il conto corrente in positivo?
