L’IDENTIKIT DEI POVERI DELL’ARCIDIOCESI

Nel 2016 sono stati spesi oltre centomila euro in più rispetto all’anno precedente. Un aumento pari al 25% del totale. E il totale supera il mezzo milione di euro: esattamente si tratta di 554.269,73 euro. E’ questo l’importo che la Caritas diocesana di Messina Lipari S. Lucia del Mela ha destinato a interventi di sostegno e aiuto.
Il totale si compone di diverse macrovoci: 292.003,83 euro, più della metà della somma complessiva, sono andati a persone bisognose, 216.265,90 euro sono stati utilizzati per le opere caritative diocesane (centri e strutture di assistenza e accoglienza) e 46.000,00 euro sono stati assegnati alla compartecipazione da parte della Diocesi di Messina Lipari S.Lucia del Mela alle progettazioni di Caritas Italiana per attività di contrasto alle povertà.
Più nel dettaglio, nell’ambito della distribuzione a persone bisognose (292.003,83 euro) 104.803,33 euro sono stati utilizzati per il supporto alle famiglie povere incontrate attraverso il Centro di Ascolto diocesano e le parrocchie, 76.088.23 euro come contributi per le utenze domestiche, 44.827,07 per affitti e 42.411,44 per libri e altri materiali necessari alla frequentazione della scuola, 15.152,81 per viaggi riguardanti la salute o il ricongiungimento familiare, e ancora 5.705,95 per acquisto di farmaci e 3.015,00 per alimenti.
Significativo il dato riguardante la somma complessiva destinata alle opere caritative diocesane che è praticamente raddoppiata rispetto all’anno precedente: 216.265,90 euro nel 2016 a fronte di 121.000 euro nel 2015. E all’interno di questo quadro, la voce che “pesa” di più è quella delle opere per i senza dimora, che nel 2016 hanno ricevuto dalla Caritas diocesana 81.617,29 euro, più del doppio di quanto speso nel 2015 (37.000 euro). A comporre il totale, infine, concorrono anche i 53.180,54 euro per i diversamente abili, i 17.238,00 euro per i minori,i 15.673,41 per migranti e immigrati, i 10.000 per gli anziani, i 4.534,00 per i carcerati e i 4.022,66 per i tossicodipendenti. E i 30.000 euro versati alla Fondazione Antiusura, mantenendo inalterato il contributo che era stato dato nel 2015.
A concludere, un altro elemento di riflessione. Se nel 2016 la Caritas diocesana ha speso centomila euro in più rispetto al 2015, già nel 2015 aveva speso centomila euro in più rispetto al 2014. Si conferma cioè una crescita degli interventi che, per un verso, è indizio eloquente della condizione sempre più critica della comunità e, per altro verso, è di portata tale da apparire quasi “insostenibile”.
GIOVANI, ITALIANI, BISOGNOSI DI BENI E SERVIZI PRIMARI. L’IDENTIKIT DEI POVERI DELL’ARCIDIOCESI ATTRAVERSO IL LAVORO DEI CENTRI D’ASCOLTO
Messina – Sono state in totale 1953 le persone ascoltate nei Centri d’ascolto della Diocesi di Messina Lipari S. Lucia del Mela durante il 2016.
Il totale risulta così distribuito rispetto alle diverse zone della città: 72 della Zona Sud che comprende i villaggi di Tremestieri, Pistunina, Zafferia e S. Lucia sopra Contesse, 303 della Zona Centro Sud ovvero l’area cittadina tra Provinciale e Viale Europa, 184 nel Centro Città, l’area tra Via La Farina e Via Cesare Battisti; 187 tra Camaro e Bisconte, 441 nella parte Centro Nord, tra Viale Boccetta e Viale Giostra, 106 nella zona Nord tra viale Giostra e Torre Faro, 191 nella Zona di Gazzi (villaggi di Bordonaro, Quartiere Padre Annibale, Santo, Fondo Fucile e Villaggio Aldisio) e 320 nel Centro diocesano “Salvatore Finocchiaro” istituito nella sede della Caritas e che abbraccia utenze territorialmente non circoscritte.
Nel confronto con il 2015 si registrano alcuni dati particolarmente significativi. Il totale delle persone ascoltate praticamente non cambia (erano 1984 nel 2015, sono state 1953 nel 2016), ma all’interno di questo quadro generale diminuiscono percentualmente le presenze degli uomini (- 2,5), degli stranieri (- 5,9) e delle persone in età “media”, dai 36 ai 64 anni (- 6,5). Aumentano parallelamente le donne (+ 2,5), gli italiani (+ 5,9), giovani e anziani (rispettivamente + 4,9 le persone con meno di 36 anni e + 1,6 i maggiori di 64 anni).
“L’aumento dei giovani che accedono ai Centri d’Ascolto – scrive la Caritas – è un dato che non lascia ben sperare per il futuro, se non si mettono in campo serie politiche di contrasto alla povertà e di sostegno all’occupazione”.
Dal punto di vista della tipologia di interventi resi, aumenta, e di molto, il sostegno per beni e servizi primari, che segna una crescita percentuale del 14,2. Peraltro beni e servizi primari, che comprendono tutti gli aiuti forniti rispetto a necessità fondamentali, dai farmaci al cibo, dalla casa ai libri di scuola, rappresentano il 53,4 % del totale degli interventi resi.
“Il quadro generale che emerge è di Centri di Ascolto che sanno ascoltare ed orientare la persona, che sanno rilevare i veri bisogni sottaciuti, ma che troppo spesso possono o devono intervenire con beni e servizi primari”, commenta la Caritas. “Questo dato deve interrogare la nostra Chiesa locale a tutti i livelli, perché vengano immaginate nuove azioni di promozione umana alternative alla mera assistenza. Di contro è un dato offerto alla lettura anche delle Istituzioni Pubbliche perché siano ripensate le loro politiche sociali. Troppo spesso la Chiesa svolge un ruolo di ‘ammortizzatore sociale” in favore di migliaia di famiglie che vivono nel bisogno assoluto e che non avrebbero nessun altro tipo di sostegno per affrontare le necessità quotidiane”.
Seconda solo agli interventi per beni e servizi primari è l’attività dell’ascolto. Il 19,5% delle richieste presentate, il 21,7% dei bisogni rilevati e il 28,2% degli interventi resi sono da ascriversi proprio a questa funzione, che rappresenta la principale “chiave” per conoscere più approfonditamente la situazione degli interlocutori.
Solitudine ed emarginazione: così la povertà si “eredita”
Volontari, tirocinanti e seminaristi si avvicendano nei Centri, a partire da quello Caritas, che ha sede appunto in via Emilia 19. L’impegno svolto dagli operatori di questa “porta della Chiesa messinese” aperta ad accogliere “incondizionatamente” è rivolto ad una collettività che non è circoscritta ad un particolare quartiere. Qui arrivano persone da tutta la città e in situazioni assai differenti. Una particolare attenzione va dunque rivolta ai dati che riguardano questo Centro che – per dirla in sintesi – in qualche modo fa da “lente di ingrandimento” della situazione generale. Chi sono le persone che si rivolgono al Centro d’Ascolto diocesano? Il 55% sono uomini, la maggior parte di loro sono italiani, 61%, e quasi il 67% hanno un età compresa tra i 36 ed i 64 anni. Rispetto all’anno precedente, stabile rimane il numero delle donne, aumenta invece il numero degli uomini: aumenta inoltre rispetto allo scorso anno di quasi 6 punti percentuali il numero di uomini e donne, anzi di ragazzi e ragazze sotto i 36 anni. Un dato che si evince chiaramente è il fatto che il numero degli interventi resi supera quello delle richieste. E più della metà degli interventi è realizzato senza alcun contributo economico ma attraverso l’orientamento, attivazione della rete di aiuto, la consulenza, il semplice ascolto, a testimoniare che “è proprio la relazione la parola chiave del lavoro degli operatori: l’unica vera risorsa necessaria”. Gli utenti sono spesso poveri al di sotto della soglia della sussistenza, oppure non hanno lavoro né possibilità di trovarne.
Ma gli operatori sottolineano anche altro. “E’ evidente l’esistenza di un fenomeno che è quello della solitudine, del senso di emarginazione. La povertà origina processi di messa ai margini della società. Questi si concretizzano con l’allontanamento dal mercato del lavoro, nella difficoltà di disporre di un’abitazione, nell’impossibilità di accedere a prestazioni sanitarie, all’istruzione superiore e/o professionale propria e dei propri figli, nel non riuscire a procurasi il cibo per la sussistenza. Tali aspetti frequentemente si legano, dando vita ad un circolo vizioso, con l’allentamento, oppure la frattura, dei legami familiari, della rete amicale e più in generale con l’indebolimento del senso di appartenenza alla comunità locale”.
Un ultimo aspetto, ma non per questo meno importante, da sottolineare è, inoltre, “quello dell’ereditarietà della povertà: come si eredita la ricchezza così anche la povertà. Nascere in una famiglia povera troppo spesso candida alla povertà: spesso l’acquisizione ‘dell’atteggiamento dell’assistito’ da parte di chi, per necessità, dipende dagli aiuti di altri può provocare frustrazione e rassegnazione anche nei giovani con la conseguenza che quest’ultimi seguono le orme degli adulti e stentano a individuare, anzi a intravedere possibili percorsi di riscatto”.
La questione centrale si chiama “lavoro”
Il 13.4% delle richieste presentate e il 15,7% dei bisogni emersi dall’analisi degli operatori riguardano il “lavoro che non c’è”. A fronte di queste richieste, i Centri d’Ascolto hanno risposto con una serie di interventi, insufficienti – com’è ovvio – a dare risposte concrete a tutti coloro che ne hanno necessità, ma comunque ben superiori a ciò che rappresenta il senso fondamentale della presenza sul territorio dei Centri e del tipo di attività che gli operatori devono svolgere. “Nei nostri Centri – si legge nel Report Caritars – la voce ‘lavoro’ ricopre una propria rilevanza, seconda solo alle richieste di aiuto economico e di ascolto. Si tratta in genere di soggetti coniugati che hanno perso la principale fonte di reddito o che non sono riusciti a ricollocarsi anche in un inquadramento lavorativo più basso rispetto alla precedente mansione. Dai dati censiti dall’Osservatorio diocesano delle Povertà e delle Risorse si registra un aumento degli interventi finalizzati a proposte di impiego al lavoro per le persone accolte, alternando aiuti economici con opportunità di lavoro anche giornaliero. Alcuni Centri hanno da tempo avviato delle pratiche di incontro ‘domanda-offerta’ di lavoro con i mezzi e le collaborazioni che gli operatori di carità riescono a tessere sul territorio. È prassi ormai consolidata anche per la Caritas Diocesana l’utilizzo di ‘borse lavoro’ in alternativa al contributo a fondo perduto per le famiglie bisognose e finalizzate all’inserimento o reinserimento socio-lavorativo di giovani e adulti in stato di necessità. Occorre ricordare, però, come i Centri non siano luoghi di segretariato sociale o di collocamento ma sono da incoraggiare quelle equipe di operatori che in raccordo con il proprio responsabile e parroco si adoperano per andare oltre gli interventi primari come il pacco spesa, l’indumento, il pagamento delle utenze, le visite mediche, propendendo verso quel discernimento caritativo capace di studiare, stimolare, accogliere, coordinare i modi con cui la comunità cristiana si rapporta con i problemi e le tematiche relative allo stato sociale. Un esercizio che alla preparazione e alla capacità di ascolto degli operatori di carità aggiunga anche la progettazione di interventi di promozione integrale della persona, che aiutino a realizzare cioè una prossimità più ampia e propendente a risposte di liberazione dal bisogno”.
La conclusione è che “ciò che preme in questo momento di forte emergenza sociale per la città (mancanza di lavoro ma anche diffusione del senso di solitudine e dell’indifferenza) è trovare soluzioni efficaci che vadano anche oltre l’aiuto caritativo, completando il trinomio celebre di Caritas ‘Ascoltare, osservare, discernere’ nell’impegno sociale, nella capacità di interloquire con gli altri soggetti sociali nel territorio per la costruzione del bene di tutti. In questo senso le Istituzioni, le associazioni, le stesse Confraternite e gli operatori del Volontariato devono raccordarsi perché nessuno sia lasciato solo (povero, immigrato, anziano o giovane) e perché i problemi della povertà e dell’indigenza trovino spazio nell’agenda politica delle nostre comunità”.