Riflettiamo sulle dimissioni di Monsignor Raspanti

Caro Andrea (Filloramo), S.Ecc.za Mons. Antonino Raspanti, per sei mesi Amministratore Apostolico dell’arcidiocesi peloritana, anche lui, come l’arcivescovo La Piana, ha abbandonato l’onore e l’onere concessogli dal Papa di amministrare un’arcidiocesi grande e prestigiosa come quella di Messina, Lipari e S.Lucia del Mela e ha ceduto il passo a un altro Amministratore Apostolico, l’arcivescovo emerito di Taranto Mons. Benigno Luigi Papa. Pesanti appaiono i contraccolpi ecclesiali di questo alternarsi di vescovi in pochi mesi e, quindi, di un rimando “sine die” della nomina dell’arcivescovo. Cosa tu ne pensi?

Innanzitutto è necessario non accostare casi totalmente diversi e cioè il caso La Piana e quello Raspanti. Dico come la penso: nessuno ha obbligato il vescovo di Acireale ad accettare l’incarico di Amministratore Apostolico. Da persona intelligente come sicuramente egli è, sapeva allora quali erano i problemi che avrebbe dovuto affrontare. Perché ha fatto l’Amministratore Apostolico “ad tempus”, contravvenendo al mandato datogli che sarebbe dovuto durare fino alla nomina del nuovo arcivescovo? Mi sembrano insufficienti i motivi che egli stesso ha dato per giustificare la sua rinuncia, che non è una mera “sostituzione”, che sicuramente non è di prassi nella Chiesa.

Perché, allora, a tuo parere, ha chiesto di essere liberato da questo incarico?

I motivi per cui Mons. Raspanti ha abbandonato l’incarico di amministratore Apostolico, sono, a mio giudizio, di due specie, una che chiamiamo “territoriale”, consistente nella sua incapacità (dico incapacità e non impossibilità) di sostenere il peso di gestione di due diocesi, Messina e Acireale; l’altra di tipo “fattuale“, consistente nella sua incapacità (dico ancora incapacità e non impossibilità) di affrontare i molteplici problemi sorti in conseguenza delle dimissioni dell’arcivescovo La Piana e fra questi i rapporti con i collaboratori, ereditati dalla vecchia gestione, che, stando a quello che facilmente si può dedurre da quanto egli ha dichiarato alla Stampa, gli vietavano di fare quanto era necessario fare.Non sono mancate le sue tentate iniziative per una “sanazione economica” della diocesi, inaccettabile da parecchi preti che giustamente si rifiutavano di saldare i debiti fatti da altri. In ogni caso l’Amministratore ha dimostrato di non avere la coerenza necessaria in “situazioni complesse e difficili”, richiesta dal mandato affidatogli da papa Francesco.

In parole povere tu dici che nell’accettare l’incarico di Amministratore Apostolico Mons. Raspanti doveva conoscere i suoi limiti, perché allora ha accettato?

Ammettere i propri limiti significa assumersi le proprie responsabilità e rimboccarsi le maniche per superarli; e significa anche avere fiducia in se stessi. Se questo vale per tutti non vale talvolta per i vescovi che mitizzano il concetto di ubbidienza al Papa al quale non si può dire mai di no. Nel cercare di capire la complessità delle situazioni che il vescovo Raspanti avrebbe dovuto affrontare vado ovviamente a tentoni, data la mancanza di trasparenza che ha caratterizzato, in questo caso, anche l’Amministratore Apostolico. Mons. Raspanti, accettando l’incarico, probabilmente pensava di avere la capacità di sostenere il peso di gestione in contemporanea di due diocesi. Egli, inoltre, ha sottovalutato i problemi che avrebbe incontrato nell’arcidiocesi messinese sorti in conseguenza delle dimissioni del vescovo emerito La Piana, oppure non è riuscito a trovare delle strategie per affrontarli. In ogni caso e conseguentemente quelli che tu chiami i contraccolpi ecclesiali sono addebitabili anche a lui.

Andando al di là di Raspanti, non nascondiamo, però, il fatto che il sistema dell’elezione dei vescovi, della loro successione, della scelta degli amministratori apostolici ecc. appare, almeno in alcuni casi inefficiente…

Certamente! Pensoche il sistema attuale e i criteri di nomina dei vescovi appaiono sempre più distanti da valutazioni di tipo pastorale e, quindi, sono inefficienti. A tal proposito mi sembra interessante il sondaggio sul “tipo di vescovo” che tu hai lanciato nella home page del foglio elettronico. Il popolo di Dio, evidentemente, ha i suoi parametri nella scelta del vescovo, che paradossalmente sono di natura più pastorale e meno funzionale.

Per capire, quindi, la situazione messinese, occorre andare oltre, guardare cioè ad altre diocesi dove la presenza o l’assenza dei vescovi crea disagio?

Sì, è proprio così, anche se ciò non ci conforta. A nessuno che segue attentamente la vita della chiesa è sfuggito che negli ultimi anni, sono aumentati i casi di nomine, sostituzioni, dimissioni, rimozioni di vescovi che hanno creato problemi.

Ricordami l’attuale procedura della scelta dei vescovi?

Nel 1965, Il Vaticano II dedicava un decreto, Christus Dominus (1965), ai vescovi e al loro ruolo nella chiesa. Non dava regole per il procedimento di nomina. Un motu proprio, Ecclesiaesanctae (1966), per l’applicazione dei documenti conciliari, stabiliva che le conferenze episcopali dovevano proporre a Roma ogni anno i nomi dei possibili candidati. Queste norme furono armonizzate con altre nel 1972. In esse Paolo VI parlava di due modi complementari per nominare i vescovi. Il primo prevedeva le proposte delle conferenze episcopali. Il secondo disponeva che quando si determinava la necessità di una nuova nomina, il rappresentante del papa avrebbe svolto un’indagine che avrebbe consentito di presentare alla Santa Sede una terna di nomi. Questa seconda procedura stabiliva che il rappresentante del papa avrebbe richiesto ai responsabili della diocesi una relazione dettagliata sullo stato e i bisogni della diocesi stessa. Il nuovo Codice del 1983 raccoglie queste norme e introduce alcune piccole variazioni. Questo in teoria. Nella pratica il ruolo decisivo e spesso esclusivo del processo di selezione e presentazione dei candidati lo svolgono le nunziature della Santa Sede.

Ma la Nunziatura svolge un “ruolo politico”?

Proprio cosi. Diciamolo pure: il vescovo che nella Chiesa svolge una funzione pastorale viene scelto da un organo “politico” della Santa Sede, che è la Nunziatura.