Messina non ha una sua identità

di ANDREA FILLORAMO

Mons. Calogero La Piana, nella conferenza stampa prima del suo commiato con l’arcidiocesi peloritana, faceva un’osservazione, che tolta dal contesto in cui veniva detta, non si può non condividere. Egli affermava: “la città di Messina non ha una sua identità”, quindi non ha una sua cultura. Ho molto riflettuto su tale osservazione che riguarda la città che mi ha dato i natali, che amo, nella quale sono sepolti i miei genitori e nella quale ritorno periodicamente. Essa è sempre di più in un degrado che stenta a fermarsi ed è, quindi, una città che per la totale incuria dei suoi abitanti, anzi per il loro noto “menefreghismo”, nonché per la politica clientelare che l’ha caratterizzata per anni, è destinata, purtroppo, a morire. Diciamolo pure: “Messina è una città inumana”. Eppure, essa nel passato ha avuto una grande storia. Come scrive nella Gazzetta del sud Sergio Di Giacomo, nel presentare il convegno “Antonello e la cultura del Rinascimento in Sicilia”, la Città dello Stretto, in quel periodo, è stata “capace di aprirsi alle istanze del Rinascimento e ai fervori culturali siciliani, meridionali, italiani e internazionali” e tale vocazione l’ha mantenuta nei secoli successivi, fino a quando, e ciò non è dovuto soltanto al terremoto del 1908 che di colpo la sconvolse, dimentica del suo glorioso passato, finì di costruire il suo futuro. Eppure oggi Messina è Sede Arcivescovile, è Sede Universitaria, ha un porto dove giungono navi di crociera, ha l’acquario a Villa Mazzini, l’Auditorium a Villa Dante, il Palazzo della Cultura, il Museo Regionale; in provincia ha la Rassegna Cinematografica Internazionale di Taormina e il Premio Regia Televisiva di Giardini Naxos, il Galà Internazionale del Folclore. La Città dello Stretto, tuttavia, è una delle ultime città della penisola italiana, non solo per il reddito pro capite di coloro che l’abitano.Nessuno, dico nessuno fino a oggi, è stato capace di darle lo stimolo necessario per uscire dal torpore in cui è precipitata; nessuno ha alzato la sua voce non demagogica, disinteressata, per scuotere gli animi, per suggerire valori a cui credere e da realizzare. Non c’è stato, in questi ultimi anni, un sindaco con la sua Giunta Comunale o un vescovo, con tutta la sua truppa di preti che capillarmente l’attraversa, che si è addossato le responsabilità di quel che avveniva nella città e far superare il pessimismo che frena ogni sforzo di rinnovamento e far riscattare un tanto lungo e irrazionale torpore, ponendo a fondamento della nuova era una forte aspirazione al senso critico, considerando la storia come il risultato dell’intelligenza e dell’energia umane.Speriamo, ci sia un nuovo sindaco e un nuovo vescovo – ognuno secondo i propri specifici compiti – che realizzino assieme un “umanesimo moderno”, come visto da E.Fromm, quando scrive: “Nelle società moderne non vi è solo emarginazione economica, povertà, disuguaglianza, ma anche alienazione esistenziale: lo Stato appare separato dalla comunità, la vita sociale è alienata da quella privata, gli individui sono ‘atomi’, piccole particelle estranee l’un l’altra ma tenute assieme da egoistici interessi e dalla necessità di far uso l’una dell’altra”; ma l’uomo, egli prosegue, “è un animale sociale che ha un profondo bisogno di partecipare, di essere d’aiuto, di sentirsi membro di un gruppo”. Per quanto concerne il vescovo i presupposti ci sono tutti. Al più presto Papa Francesco lo nominerà e sarà sicuramente all’altezza dei tempi e risponderà alle esigenze di una diocesi che lo accoglierà a braccia aperte.Intantonella diocesi si partecipa a un “assaggio” dell’apertura verso l’uomo e la modernità nella persona dell’Amministratore Apostolico mons. Antonino Raspanti, che, in breve tempo, ha dimostrato di possedere e di trasmettere, attraverso le sue parole (indimenticabili quelle pronunciate durante i funerali di Mons. Cannavò) ma particolarmente attraverso la sua intensa spiritualità, anche nella città di Messina oltre a quella di Acireale,un forte spirito di umanesimo. Sarà lui il nuovo arcivescovo? Non lo sappiamo. Ricordiamo che Mons. Antonino Raspanti è ben conosciuto per la sua cultura, per la modernità del suopensiero. Egli, al prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale che si celebrerà a Firenze nel mese di novembre è vice presidente.Dell’umanesimo egli pronuncia delle parole che ci aiutano a riflettere. Egli. Infatti, dice: “Umanesimo è un termine a rischio, difficile, forse astratto. Si è assistito, nell’arco del passaggio dalla modernità alla contemporaneità, da una visione positiva del singolo, da una grande fiducia a uno svuotamento del soggetto, a una disillusione totale, al nichilismo pratico del ’900”. Egli aggiunge che occorre “da un transumanesimo – andare oltre l’uomo, per esempio attraverso le tecnologie che ne potenziano le possibilità – a un post-umanesimo nel quale l’uomo diventa unità di misura di tutto vivendo nella completa autoreferenzialità che porta a una totale corrosione dei legami sociali e della responsabilità sociale. (……)L’uomo si costituisce come valore, ma a partire da che cosa? A partire da se o a partire da altri? Diventa necessario sottolineare il dato umano che tutti siamo figli, non riconoscerlo impedisce di riconoscere chi siamo”. Temi interessantissimi che connotano la persona del vescovo e che sono da condividere da chi ama i cambiamenti che nella diocesi messinese si ritengono necessari.Certamente Raspanti è un uomo moderno, aperto alle novità. L’apertura e la modernità di Mons. Antonino Raspanti è dimostrabile in tante maniere ma è deducibile anche dal fatto che egli, da bravo “umanista” ama viaggiare, “vedere”,”esplorare”.E’ molto legato all’America ed ogni anno, durante l’estate, è solito trascorrere alcune settimane a New York collaborando con una parrocchia di Manhattan, vicina al Ground Zero in cui c’erano le Torri Gemelle crollate nell’attentato dell’11 settembre 2001. Egli è anche specializzato in lingua anglo-americana. Nel 2012 ha tenutol’omelia nella cattedrale di San Patrizio a New York, in occasione del Columbus Day, la giornata commemorativa della scoperta dell’America.«I predicatori del Columbus Day di anno in anno sono designati tra quei prelati che sanno riconoscere il valore dell’italianità nel contesto statunitense odierno, rendendolo attuale, pur nel rispetto dell’evoluzione storica. Messina, o con il vescovo Rampanti o con un altro vescovo mandato da Papa Francesco vuole rinascere e dimenticare il suo passato recente.