
Nel 2013, la Soprintendenza ai beni culturali della Provincia di Trapani ha affidato alla Edilux Srl e alla Società Italiana Costruzioni e Forniture – SICEF – Srl un appalto pubblico di lavori del valore di oltre due milioni di euro per il restauro degli antichi templi greci in Sicilia. A seguito di un’impugnazione presentata dalla Icogen Srl, società arrivata al secondo posto al termine della gara (aperta anche a società straniere), l’Amministrazione ha annullato l’aggiudicazione e ha affidato l’appalto alla Icogen. L’Amministrazione ha motivato l’annullamento (e quindi l’esclusione di EDILUX e di SICEF) con il mancato deposito, assieme all’offerta, dell’accettazione del protocollo di legalità, accettazione prevista come propedeutica alla stessa partecipazione alla gara. Secondo detto protocollo, il partecipante alla gara si doveva impegnare espressamente a tenere una serie di comportamenti in caso di aggiudicazione dell’appalto: egli avrebbe dovuto, ad esempio, impegnarsi a informare l’amministrazione sullo stato di avanzamento dei lavori e sulle modalità di selezione dei subappaltatori; comunicare alle Autorità eventuali irregolarità; cooperare con la polizia; denunciare tutti i tentativi di influenza di natura illecita ecc… Il candidato o l’offerente, inoltre, doveva dichiarare espressamente: di non trovarsi in un rapporto di controllo o associazione (di diritto o di fatto) con altri concorrenti; di non avere stipulato né di stipulare in futuro alcun accordo con altri partecipanti alla procedura di gara; di non subappaltare in futuro qualsiasi tipo di opera o servizio ad altre imprese partecipanti alla gara; di impegnarsi a rispettare i principi di lealtà, integrità e trasparenza; di non avere concluso né di concludere in futuro, con gli altri partecipanti alla gara, accordi volti a limitare o impedire la concorrenza ecc… Il TAR Sicilia ha respinto il ricorso proposto da Edilux e SICEF contro la decisione dell’Amministrazione.
Edilux e SICEF hanno allora proposto appello davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, che ha sollevato una questione pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia dell’U.E.
La legge italiana prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possano richiedere, a pena di esclusione dalla gara d’appalto, l’accettazione, da parte dei candidati o degli offerenti, di accordi o protocolli di legalità. Il giudice italiano s’interroga sulla compatibilità di un’esclusione così motivata rispetto alla direttiva 2004/18 , la quale non contiene una disposizione analoga nel suo elenco tassativo delle cause di esclusione di un partecipante ad una gara di appalto. Tuttavia, una causa di esclusione come quella di cui si discute potrebbe essere conforme alle norme della medesima direttiva che prevedono una deroga alla tassatività del suddetto elenco a fronte di esigenze imperative d’interesse generale, come ad esempio quelle relative all’ordine pubblico e al contrasto alla criminalità.
Nella sua sentenza odierna, la Corte ricorda che le procedure rigorose previste dalle direttive UE sul coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applicano soltanto ai contratti il cui valore supera la soglia espressamente prevista in ciascuna di tali direttive. Pertanto, la direttiva 18/2004 non è applicabile nel caso specifico.
Tuttavia, l’aggiudicazione di contratti che, tenuto conto del loro valore, non rientrano nel campo di applicazione della direttiva, è comunque soggetta ai principi generali del TFUE, in particolare ai principi di parità di trattamento e di non discriminazione in base alla nazionalità e all’obbligo di trasparenza che ne consegue, a condizione che gli appalti presentino un certo interesse transfrontaliero (nel caso specifico, come detto prima, la gara era aperta anche a imprese non italiane).
Tali principi generali consentono ai legislatori nazionali di prevedere l’esclusione, da una gara d’appalto pubblico, di un candidato o di un offerente a causa del mancato deposito, assieme all’offerta, dell’accettazione scritta di un protocollo o accordo teso a contrastare sia le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici sia le distorsioni della concorrenza che ne derivano. Inoltre, poiché tale obbligo incombe a ogni candidato od offerente senza distinzione di nazionalità, esso non confligge con il principio di non discriminazione.
L’obbligo, per l’offerente o il candidato, di accettare anticipatamente i protocolli di legalità come condizione di ammissione alla procedura di aggiudicazione dell’appalto ha l’effetto di anticipare la tutela della legalità e di scoraggiare i fenomeni criminali: tale anticipazione è conforme al principio generale del diritto comunitario di proporzionalità tra i mezzi impiegati e gli obiettivi perseguiti.
Tuttavia, il suddetto principio di proporzionalità non appare rispettato se il protocollo contiene dichiarazioni secondo cui il candidato o l’offerente non è in rapporto di controllo o associazione con altri candidati od offerenti; non ha concluso né concluderà accordi con altri partecipanti alla gara; non subappalterà prestazioni di qualunque tipo ad altre società partecipanti alla procedura: invero, l’assenza di simili dichiarazioni non può comportare l’esclusione automatica del candidato o dell’offerente: in questo caso, i mezzi utilizzati dal legislatore vanno al di là di quanto necessario a prevenire comportamenti collusivi e, quindi, a garantire l’applicazione del principio di uguaglianza di trattamento e il rispetto dell’obbligo di trasparenza. Tale esclusione automatica, in altri termini, costituisce una (sproporzionata) presunzione assoluta di interferenza illecita tra imprese, che, per sua natura, esclude la possibilità di dimostrare il contrario.