
di Roberto Gugliotta
Vorrei dire la mia sull’arresto dell’onorevole Francantonio Genovese. Non c’è dubbio che rappresenta una sintesi politica – sociale perfetta del SISTEMA MESSINA: una volta date le marcature sul campo e i voti al rendimento dei protagonisti sarebbe quasi inutile raccontare la vicenda. Soprattutto per rispetto della gente. Ma credo ci siano anche pochi dubbi sul fatto che la Formazione rappresenti uno dei più clamorosi atti di presunzione della nostra classe politica. Facciamo finta di non avere giudici sconfessati dai politici, paladini della legalità sconfessati dalla realtà. E’ stato ufficialmente ammesso che il prezzo di una campagna elettorale per questa volta non sarà quello di un pacco di pasta o dieci buoni di carburante, più o meno scontato. Mi chiedo: se Genovese usava la Formazione per conquistare il titolo di onorevole – così come raccontano le cronache – gli altri che hanno raggiunto il medesimo risultato politico con quali metodi hanno strappato i tanti consensi? Possibile che sia frutto – al di là delle loro qualità morali – di un colossale, sproporzionato investimento sulla buona fede e l’intelligenza di chi li vota? Una ragione in più per riflettere su buoni e cattivi. Si potrebbe obiettare che Genovese è un politico ricco sfondato che ha voluto comprare l’anima della brava gente, ma il punto resta l’estrema difficoltà di avere una visione globale della posta in gioco. Non è solo roba di elezioni, di corsi professionali o di incarichi istituzionali. Non è come sembra. Una sfida per la conquista del potere è un fatto "agonistico" estremamente complesso. Non ha prove certe come una fiction televisiva sulla mafia, il riferimento di un valore politico, il confronto con i fatti. Ci sono i favori richiesti e concessi, ci sono gli assist istituzionali, le complicità in cambio di assunzioni o cessioni di quote societarie, vendette personali, ma c’è soprattutto un polverone abbastanza generale. Alla fine scoprire la verità è un dettaglio marginale. In fin dei conti per la massa cresciuta a pane & pettegolezzo il fatto stesso che Genovese sia finito in carcere è già un bel successo. Ma chi come il sottoscritto pretende chiarezza l’arresto di "mister 20 mila preferenze" non è il massimo della felicità: il dovere di ubbidire con servilismo non è una mia qualità. Oggi che l’uomo Francantonio è caduto in disgrazia leggo tante critiche severe sul suo modo di interpretare la politica (fare eleggere il cognato all’Ars, che vergogna; mettere i parenti a capo di tante società, che arroganza; usare gli strumenti istituzionali per ottenere favori, che conflitto…), se adulare da parte dei media il ricco onorevole era uno sciocco e maldestro tentativo di seduzione, la restituzione non spontanea e non immediata delle coperture, ma fuori tempo limite è un penoso compromesso con la coscienza che ufficializza la non credibilità della categoria. Ai giornalisti come ai giudici si deve credere, per principio. Non ci possono essere vizi di forma, "ritardi di comunicazione", come ora vengono chiamati con ipocrisia. Usare la caduta politica di Genovese per rifarsi la verginità è qualcosa che mi provoca una gran nausea che mi allontana, sempre di più, da un mondo che non sento mio. I tanti personaggi che popolano i Palazzi messinesi che in questi anni hanno preferito chiudere gli occhi per non dover ammettere le loro mancanze hanno quello che si meritano se oggi sono sempre più vittime di qualsiasi cattivo pensiero. Non può esistere una via di mezzo nella gestione dei processi, della politica, dell’università come nella vita quotidiana, che comunque costa sentimento e investimenti: non si può essere un po’ sensibili alla corruzione e un po’ incorruttibili. Non si lascia un giudice dimezzato in balia di una città che pretende la sua fetta di giustizia. I dettagli di una storia come questa sono importanti ma da soli non bastano per convincere una comunità a cambiare il proprio destino. Ci vuole altro.