
Al contrario del "Salva-Italia", dal secondo decreto-sviluppo del governo, licenziato ieri da Palazzo Madama, avrà "un impatto limitatissimo", "tendente allo zero". Lo scrive Guido Gentili in un editoriale sul Sole 24 ore, che critica "la fragilità, alla lunga, di uno schema (di fatto a due tempi, prima il rigore poi la crescita) fondato sul risanamento delle finanze pubbliche a quasi esclusiva trazione fiscale e non sostenuto da un’altrettanta aggressiva azione sulla spesa pubblica". Oltre al "progressivo sfilacciamento di un quadro politico" tipico della stagione pre-elettorale. Quanto al merito del provvedimento, secondo Gentili non e’ "una scatola del tutto vuota, ma certo non può non impressionare la caduta pressochè definitiva, sotto i colpi della Ragioneria dello stato e delle dissonanze ministeriali, degli sgravi fiscali sulle nuove infrastrutture agevolabili con il credito d’imposta. Come dire: zero spinta su opere che potevano contribuire a riavviare la crescita. Una caduta degli sgravi fiscali cui fa invece fronte la proroga di cinque anni per le concessioni balneari, sulla quale il Governo ha finito per cedere nonostante la stessa Ragioneria abbia avvertito che l’Italia rischia in sede europea multe comprese tra i 10mila e i 650mila euro al giorno – osserva l’editorialista -. In questo caso, il rigore europeista e l’apertura al mercato sembrano stati, per l’appunto, spiaggiati". Per non parlare delle "incognite sul cammino della delega fiscale e della stessa legge di stabilita’", che creano un "gigantesco ingorgo normativo e parlamentare" in cui e’ "difficile orientarsi per il meglio". Servirebbe "un tragitto rapido e blindato sul piano dei conti pubblici ma non su quello della crescita, che dovrebbe al contrario esplodere con l’innesco di misure utili", osserva Gentili: "Ma non ci sono i soldi, si dice, e si ricomincia daccapo. Ferma pero’ restando l’insostenibile pressione fiscale, l’altissimo debito pubblico e la conclamata difficolta’ ad aggredire il fronte della spesa pubblica per le resistenze corporative e la riluttanza della politica a cambiare passo sulle riforme".