Il libro di Demarco,“Terronismo”, edito da Rizzoli (2011), è un testo abbastanza singolare, partendo dalla Storia degli ultimi centocinquant’anni, ha la pretesa di fare una radiografia sociopolitica dei pregiudizi del Nordismo di tipo leghista e di quelli di un certo Meridionalismo rivendicativo come appare nel bestseller, Terroni di Pino Aprile. Demarco classifica i due fenomeni estremi, come “turboleghismo e l’ultrasudismo, e scrive che “stanno gravemente minando la percezione che gli italiani hanno del proprio Paese, pertanto secondo lui, sono sì antitetiche, ma nella sostanza identiche, perché entrambi separatiste, rivendicative e condite con un pizzico (più o meno abbondante) di razzismo”.
A questo proposito il giornalista conia una parola nuova per definire i due pregiudizi: “Terronismo”, con la enne, un termine che ancora nei dizionari non esiste. Nel 3 capitolo Demarco definisce il terronismo come la convergenza di due opposti localismi, tra l’altro i terronisti sono ovunque, al Nord, al Sud e anche al Centro. Dalle pagine del libro emerge che alimentare odio per stereotipi, rinchiudersi in un ottuso orgoglio nordista o sudista non potrà mai giovare a nessuno, anche se Demarco ci tiene a definirsi abitante e figlio della duosicilianità, essendo nato a Napoli, l’ex capitale del Regno delle Due Sicilie.
Il direttore del Corriere del Mezzogiorno accenna a certi primati economici che vantava il Regno dei Borboni ma si affretta subito a scrivere che erano solo eccezioni e pertanto cerca di confutare quei storici neoborbonici che intendono dimostrare che prima si stava meglio come fa il testo di Aprile che gli appare rivendicativo, con una furia rancorosa, e che cerca risarcimenti per i danni subiti, con i coltelli tra i denti per le ferite ancora sanguinanti, con il Sud colonizzato dai piemontesi spietati.
Demarco dedica un capitolo al misuratore di crani Cesare Lombroso e a tutti gli altri che si sono cimentati in questa allegra professione di misurare l’intelligenza. Studiosi che hanno parlato male dei meridionali, che sono bassi di statura, e che nelle loro vene c’è sangue arabo e ciò li rende menzogneri, inaffidabili, ingovernabili. Peraltro, il libro di Demarco vuole anche essere uno studio sui caratteri degli italiani, argomento ritornato in voga dopo l’uscita del film benvenuti al Sud, in particolare sui pregiudizi antimeridionali.
Ma come hanno reagito i meridionali alla grande quantità di pregiudizi che nel corso dei secoli è piovuta loro addosso? Per Demarco, hanno reagito malissimo. Ne elenca tre, più o meno sbagliate: quella razzista, quella orgogliosa e quella nostalgica.
La prima grosso modo dice questo: “Il Sud è arretrato perché i meridionali sono diversi e peggiori rispetto agli altri italiani, ma sia chiaro, parliamo del popolo minuto, dei lazzari, della plebaglia”. La seconda è quella orgogliosa:”d’accordo, siamo diversi, ma siamo migliori degli altri, ci attraversa il sangue dei Greci, prolunghiamo nel tempo la loro filosofia di vita e non intendiamo essere contaminati dalla modernità”. Infine la terza risposta, quella nostalgica: “punta sulla qualità delle origini, su un mitico tempo perduto e sull’illusione che prima si stava molto meglio, prima quando c’erano i Borbone”. Perché i meridionali ragionano così? Si interroga Demarco. Risponde per tutti Pino Aprile che attribuisce l’autolesionismo dei meridionali all’antisemitismo della Lega: “Se molti meridionali si sono convinti della propria minorità, spiega, è solo perché per anni il partito nordista ha parlato male di loro. E parla parla, alla fine qualcosa resta”. Demarco nel libro sviluppa una interessante tesi, credo originale, del razzismo antimeridionale: è stato confezionato dagli stessi meridionali, in particolare di fede socialista. Infatti, “l’idea cioè che il Sud sia la culla di una razza inferiore per indole, intelligenza e aspetto fisico, esplode a circa quarant’anni dall’Unità d’Italia, quando i socialisti meridionali antiborbonici si rendono drammaticamente conto che il Sud non marcia verso la rivoluzione sociale e il Nord comincia invece a svilupparsi”. Successivamente poi secondo i socialisti lombrosiani, “il Sud resta invece al palo, nonostante i Borbone non ci siano più da un pezzo”. Così i socialisti con la loro strategia politica elitaria, “non sanno fare di meglio che scaricare tutte le colpe sul popolo meridionale, sulla sua diversità e minorità razziale”.Queste teorie vengono supportate dagli antropologi siciliani Giuseppe Sergi, sostenitore dell’”eugenetica ambientale” e da Alfredo Niceforo, quest’ultimo, sostiene che gli “Arii, hanno un sentimento di organizzazione sociale più sviluppato di quel che non sia presso i mediterranei”. In questa ossessione razzista, perfino Giustino Fortunato si è fatto prendere la mano, e scopre anche lui un forte divario tra Nord e Sud, oltre a prendersela con le solite condizioni storiche-economiche, sembra che sia colpa anche del clima. Tuttavia alla fine Demarco citando lo storico Giuseppe Galasso, cerca di giustificare tutti, scrivendo che nonostante ci siano divergenze in questi uomini, più o meno di sinistra, sono comunque italiani,che vedono la salvezza nel loro essere nazionali e unitari.
Malgrado ciò, occorre dare atto a Demarco, lui che ha lavorato vent’anni all’Unità, della sua chiara critica alla sinistra che ha omesso di scrivere che i lombrosiani razzisti erano tutti socialisti e meridionali. Peraltro aggiunge “contro ogni logica e contro il normale corso del tempo, Lombroso è sempre passato per un fascista, e con un analogo anacronismo ancora oggi si parla dei lombrosiani come se fossero dei pericolosi leghisti”.
Nel 10 capitolo è interessante il binomio tra veneti e meridionali: Demarco forse non sa spiegarsi come mai i Veneti, “confinati per secoli nel girone dei miserabili, condannati a una marginalità geografica prim’ancora che sociale,sono diventati un modello di sobrietà, di abnegazione, di efficienza”.E il Sud, allora? L’11° capitolo il libro lo dedica interamente a Terroni, di Pino Aprile, tanto discusso e chiacchierato, tra l’altro il bestseller che ha venduto di più negli ultimi anni; nonostante la sua fragilità in tanti argomenti, la sua diffusione massiccia è sintomo che la gente vuole sapere come veramente sono andati i fatti che portarono alla cosiddetta Unità d’Italia.
Ma qui mi fermo per non stancare più del dovuto. Alla prossima.
DOMENICO BONVEGNA
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