
A modo suo, anche la Cassazione fa ‘spending review’ e cerca di far risparmiare soldi allo Stato tagliando le ammissioni dei "non abbienti" al gratuito patrocinio e inserendo nella loro dichiarazione dei redditi anche le entrate dei familiari ‘di fatto’, a esempio i parenti conviventi della compagna ‘more uxorio’. Spiega in proposito la Suprema Corte che la famiglia di fatto è ormai una "realtà sociale", la quale esprime "caratteri ed esigenze analoghe a quelle della famiglia ‘strictu sensu’" e, dunque, sarebbe contrario ai principi "di solidarietà, equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale", non calcolare nel reddito, di chi ha un reddito basso o nullo, anche le entrate dei familiari suoi conviventi in senso allargato. Con questa decisione – sentenza 44121 depositata oggi e relativa a un’udienza svoltasi lo scorso 20 settembre – la Cassazione ha escluso il diritto di un imputato pugliese, privo o quasi di reddito, ad essere ammesso al gratuito patrocinio in forza del fatto che la madre della sua compagna, una signora con la quale la coppia di fatto conviveva – insomma la ‘suocera’ – aveva delle entrate che dovevano essere cumulate alle sue. Per la Suprema Corte, il termine "familiare" deve essere inteso come "riferibile non solo a coloro che sono legati, a chi richiede il gratuito patrocinio, da vincoli di consanguineità o, comunque, giuridici, ma anche a coloro che convivono con lui e contribuiscono al ‘menage’ familiare".
Con questo verdetto è stato confermato il ‘no’ del Tribunale di Brindisi all’avvocato a spese dello Stato in favore di un quarantottenne di Fasano (Brindisi) ‘munito’ di ‘suocera di fatto’ convivente e ‘cumulabile’.