Partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese. Salario minimo e indennità di disoccupazione rafforzata per i parasubordinati. Ritocchi sull’articolo 18. Ma anche un allentamento dei vincoli su apprendistato e partite Iva. Queste alcune delle novità contenute negli emendamenti bipartisan alla riforma del lavoro. Il ministro del Lavoro Elsa Fornero rassicura i lavoratori autonomi: "Non perderanno nulla di quanto versato". Il suo collega di governo Corrado Passera avvisa: "C’e’ disagio, a rischio la tenuta sociale". Intanto il Consiglio dei ministri oggi approvera’ un piano anti-poverta’ per il quale viene stanziato un miliardo di euro. Per quanto riguarda la riforma del lavoro, spiega LA REPUBBLICA, "l’accordo sulle modifiche è frutto della mediazione politica dei due relatori al provvedimento – i senatori Treu (Pd) e Castro (Pdl) – che ieri hanno depositato in commissione Lavoro di Palazzo Madama 16 emendamenti, di fatto concordati con governo e maggioranza, che si uniscono ai 27 dell’esecutivo e saranno votati a partire da martedì". Le novità più importanti riguardano i lavoratori a progetto. E sono due. "Un salario di base ‘adeguato alla quantita’ e qualita’ del lavoro eseguito’, non inferiore all’importo annuale che lo stesso ministero del Lavoro determinera’, con buona probabilita’ vicino alla media tra gli emolumenti minimi del lavoro autonomo e quelli del settore privato. E un’indennita’ una tantum rafforzata, in caso di perdita del lavoro, ‘in via transitoria’ per il triennio 2013-2015, grazie a un incremento di risorse (60 milioni per ciascun anno). Si passa dal 5 a 7 per cento del minimale annuo e da 4 a 3 mensilita’ presso la Gestione separata nell’anno precedente, come requisito minimo per aver accesso all’ammortizzatore. In cambio, vengono accolte le richieste delle imprese sull’utilizzo delle partite Iva.
Sopra un certo reddito annuo (17-18 mila euro) sara’ impossibile dimostrare che la partita Iva e’ falsa e che si ha diritto a un’assunzione. Sotto quel reddito, la presunzione di lavoro dipendente scattera’ se ricorrono almeno due dei seguenti presupposti: la durata della collaborazione e’ di otto mesi in un anno (da sei), il fatturato che ne deriva costituisce piu’ dell’80 per cento di quanto percepito nell’anno (dal 75 per cento) e il collaboratore ha una postazione presso il datore, ma ‘fissa’.
Presunzione che non vale per i lavoratori con ‘competenze teoriche di grado elevato’ e per i professionisti iscritti a Ordini".
E proprio sulle partite Iva si concentra il SOLE 24 ORE, che spiega: "Con queste nuove regole il ‘popolo delle partite Iva’, nel 2011 ne sono state aperte 535 mila, di cui il 48 per cento da parte di under 35, mentre a marzo ne sono state aperte 62mila (+12,4 per cento su base mensile), e’ piu’ tutelato. Tanto e’ vero, come ha esemplificato Tiziano Treu, per chiarire il senso delle novita’, ‘in Rai non si salva piu’ nessuno a meno che i lavoratori assunti con partita Iva non siano pagati bene’. Resta invece confermata la genuinita’ della partita Iva (ed evitano cosi’ la stretta) anche quelle prestazioni lavorative ‘svolte nell’esercizio di attivita’ professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione a un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi’. Sara’ comunque un decreto del ministero del Welfare a individuare con esattezza le predette attivita’ (che non subiranno il giro di vite). Ma l’emendamento dei due relatori ritocca pure i tre parametri che fanno scattare (se ne ricorrono almeno due) il "doppio salto" sulle partite Iva cosiddette "fasulle", di fatto alleggerendone la morsa. In pratica (e salvo prova contraria del datore di lavoro) si potra’ chiedere il passaggio da partita Iva a collaborazione coordinata e continuativa qualora la durata della collaborazione sia superiore a otto mesi (ne erano previsti sei nel Ddl); il corrispettivo pagato al collaboratore costituisce piu’ dell’80 per cento del suo reddito complessivo (nel Ddl era il 75 per cento); e se il lavoratore dispone di una postazione ‘fissa’ in azienda. Vale a dire, per far scattare la stretta il titolare di partita Iva "fittizia" dovra’ dimostrare di avere una vera e propria scrivania (mentre non e’ sufficiente l’utilizzo del solo telefono)". E ieri il ministro del Lavoro Elsa Fornero ha accettato l’invito del Corriere.it a confrontarsi sul tema delle partite Iva. "Secondo la riforma del lavoro – chiede il CORRIERE al ministro – l’aliquota contributiva per le partite Iva dovrebbe salire dal 27 al 33 per cento, una quota profondamente contestata e definita insostenibile". "Esiste tra gli studiosi – replica la Fornero – una regola chiamata del pollice: per ottenere una pensione adeguata bisogna risparmiare. I contributi sono una forma di risparmio nell’eta’ attiva e servono a costruire una pensione dignitosa. Per riuscirci bisogna accantonare circa un terzo del reddito e il 33 per cento equivale proprio a un terzo.
Non bisogna dimenticare che i lavoratori atipici sono quelli che in questi anni hanno convissuto con il timore di versare contributi che poi non avrebbero generato un pensione dignitosa e adeguata. Adesso invece vorrei tranquillizzare i contribuenti autonomi sulla finalita’ di questa aliquota: l’aumento dei contributi al 33 per cento serve ai giovani per avere pensioni piu’ dignitose quando usciranno dal mercato del lavoro. Nulla di quanto versato verra’ perso e’ un contributo per i giovani professionisti che altrimenti rischierebbero di vivere in condizione di indigenza in futuro".
Ieri è poi arrivato l’allarme dal ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, secondo cui "’il disagio sociale e diffuso legato alla mancanza di lavoro in Italia è più ampio di quello che le statistiche dicono. Mettendo insieme disoccupati, inoccupati, sottoccupati e sospesi arriviamo a 5-6 forse 7 milioni di persone’. E’ a rischio la tenuta economica e sociale del Paese’. Anche se poi il ministro ha voluto precisare che la prolungata mancanza di crescita puo’ avere conseguenze sulla tenuta sociale di un Paese. Ma la conferma di una profonda difficolta’ economica e’ arrivata dai dati dell’Istat che segnalano una diminuzione della produzione industriale del 5,8 per cento nell’ultimo anno. Lo stesso Centro studi della Confindustria nella sua indagine congiunturale sostiene che ‘in Italia la ripresa si allontana’. Peggiorano la domanda interna, l’export e il mercato del lavoro. Secondo il rapporto congiuntura flash del Csc, riporta il SOLE 24 ORE, infatti, "in primo luogo nel mese di aprile la produzione dovrebbe essere tornata a ridursi dello 0,6 per cento, attestandosi sui livelli del novembre 2009. Inoltre, le indagini che danno conto delle attese sulla produzione delle imprese segnalano che vi sara’ un’altra forte contrazione dell’attivita’ produttiva nel secondo trimestre dopo il -2,1 per cento del primo. ‘Sale la probabilita’ di una caduta del Pil nel secondo trimestre 2012 – affermano gli economisti della Confindustria – piu’ accentuata di quella prevista dal Csc a dicembre(-0,3 per cento) e forse di quella stimata per il primo (-1 per cento)’. La diagnosi del Centro studi, che rileva come nel mondo lo scenario economico abbia cessato di migliorare, e’ netta:’Anche in Italia la ripresa si allontana: la domanda interna (specie i consumi) cala piu’ del previsto e l’export ha perso slancio rispetto a qualche mese fa, nonostante il commercio mondiale vada meglio’. Tra gli elementi che contribuiscono a rendere piu’ cupo il quadro, il report cita l’aumento del numero di persone in cerca di occupazione, un elemento che conferma le difficolta’ di bilancio delle famiglie, mentre i margini delle imprese vengono erosi da maggiori costi unitari, anche del lavoro. Riguardo ai consumi, spiega il Csc ‘la fiducia delle famiglie ha toccato in aprile il minimo storico’. Inoltre ‘il credit crunch si e’ ulteriormente accentuato, sebbene i tassi abbiano smesso di salire’: secondo i dati del Centro studi Confindustria, i prestiti alle imprese italiane sono scesi anche in marzo (-0,6 e -2,5 per cento da settembre 2011)".
Pronto intanto il piano da un miliardo del governo contro la poverta’. "Un piano – spiega LA REPUBBLICA – per cominciare ad affrontare quella che sta diventando una vera emergenza sociale, tra anziani e bambini, soprattutto a Sud. Il progetto sara’ presentato oggi pomeriggio dal presidente del Consiglio, Mario Monti, insieme ai ministri Fabrizio Barca (Coesione territoriale), Andrea Riccardi (Immigrazione e famiglia) e Elsa Fornero (Lavoro). IL RIASSETTO DEI FONDI Il miliardo arrivera’ dalla riprogrammazione dei fondi comunitari destinati al Mezzogiorno. Ci hanno lavorato nelle ultime settimane i due ministri Barca e Riccardi: il primo tra i maggiori esperti nell’utilizzo delle risorse di Bruxelles, il secondo nelle politiche contro il disagio sociale. L’obiettivo e’ di intervenire, in uno stretto collegamento tra il governo centrale e le istituzioni locali, per far restare all’interno della vita comunitaria le fasce di popolazione piu’ fragili, evitare la loro marginalizzazione. Non la social card di Tremonti che e’ risultata in larga parte inefficace e che comunque puntava ai consumi di prima necessita’, ma nemmeno una nuova forma di sussidio che e’ incompatibile con le regole di finanza pubblica europea. OBIETTIVO ANZIANI E’ un approccio diverso quello del governo Monti. Lo schema di intervento – per quanto e’ filtrato dagli uffici dei tecnici – e’ quello adottato recentemente dal ministero di Riccardi per bambini e anziani con l’accordo con le Regioni. Con circa un’ottantina di milioni sono stati rifinanziati alcuni servizi per i due soggetti piu’ deboli e piu’ a rischio poverta’, secondo le indagini dell’Istat. Quel modello verra’ riproposto su larga scala con il Piano nazionale contro la poverta’. Per i bambini dovrebbero essere previsti nuovi posti negli asili nidi; per i piu’ anziani l’obiettivo e’ quello di tenerli il piu’ possibile all’interno della famiglia e, in ogni caso, dentro la vita sociale. Non solo, dunque, il sostegno per permettere ad una persona anziana di continuare a vivere nel proprio domicilio, ma anche misure (decise a livello locale) per favorire il mantenimento di legami con il resto della societa’. Perche’ il rischio di restare fuori dalla societa’ cresce con l’incremento del proprio disagio economico. E si spiega cosi’ il ruolo decisivo che dovranno avere le istituzioni locali (Regioni, Comuni) nell’implementazione del piano perche’ sono loro ad essere a contatto diretto con il disagio. L’ALLARME DI PASSERA Negli ultimi giorni sono stati proprio i ministri del governo Monti a lanciare l’allarme sociale. Prima il titolare del Welfare Fornero che non ha nascosto i ritardi dell’esecutivo nel valutare gli effetti recessivi (e depressivi, probabilmente) dei primi provvedimenti adottati in piena emergenza finanziaria per evitare il baratro del default; poi – ieri – il ministro Passera che ha indicato in circa sette milioni le persone che vivono in una condizione di difficolta’ nel lavoro, perche’ disoccupati, perche’ inoccupati e scoraggiati, perche’ impegnati in forme di lavoro irregolare (il sommerso aumenta con la crisi). Tutto questo – per ammissione dello stesso Passera – puo’ mettere a rischio la tenuta sociale del Paese tanto piu’ che le prospettive di crescita dell’economia restano negative. E senza una crescita del Pil superiore al 2 per cento e’ difficile che possano essere creati nuovi posti di lavoro. Anche da qui il Piano contro la poverta’. OTTO MILIONI DI POVERI Sono piu’ di otto milioni – secondo l’Istat – gli italiani che vivono in condizioni di poverta’ relativa (circa il 14 per cento della popolazione). La poverta’ assoluta riguarda invece 3,1 milioni di persone (il 4,6 per cento delle famiglie). Nel Mezzogiorno le famiglie in poverta’ relativa sono il 23 per cento (contro il 4,9 del Nord e il 6,3 del Centro), e quelle in poverta’ assoluta ne rappresentano il 6,7per cento (contro il 3,6 e il 3,8 di Nord e Centro). In Basilicata e’ povero quasi un terzo delle famiglie.
