L’industria si ferma. E le fabbriche si salvano da sole

L’industria italiana – riporta il Corsera arranca. I consumi franano. Compensa, per quel che può e che vale in un simile contesto, l’andamento delle vendite all’estero. Risultato: ordinativi e fatturato industriale a gennaio hanno segnato, rispettivamente, un calo del 5,6% e del 4,4%, nel confronto con un anno fa, riportandoci indietro di tre anni, agli stessi livelli di fine 2009. Una notizia, a dire il vero, non del tutto inattesa. Che però adesso viene certificata dall’Istat, attraverso le periodiche rilevazioni mensili. E che comunque, come osservano gli analisti, risulta più ampia del previsto: a conferma che l’attività produttiva italiana resta ancora su livelli molto deboli. Come dire: dopo il calo della produzione, anche su questo fronte il 2012 parte in salita. Immediate le reazioni di sindacati e consumatori. La Cgil parla addirittura di ‘rischio sempre più reale di una disoccupazione di massa’. Il Codacons sollecita il governo perchè intervenga, in tempi rapidi, con un decreto ‘salva famiglie’, per frenare il continuo crollo dei consumi. La fotografia dell’Istat sull’andamento dei diversi settori non incoraggia grande ottimismo: dei 13 settori messi sotto la lente dall’istituto di statistica, nove mostrano segno negativo nel raffronto di fatturato anno su anno. Gli unici comparti che, nonostante tutto, sembrano tenere, sono quelli impegnati nella produzione di prodotti petroliferi raffinati (+15,8%), le industrie alimentari e delle bevande (+2,4%) e l’industria farmaceutica, con prodotti di base e preparati farmaceutici (+0,6%). Sul versante opposto, il calo maggiore e’ stato accusato dall’industria dei mezzi di trasporto (-14%), seguita, nell’ordine, da quella delle apparecchiature elettriche (-12,1%), della produzione di computer, apparecchiature elettroniche, ottiche, elettromedicali (-11,2%), della fabbricazione di prodotti in metallo (-10,7%), degli articoli in gomma e materie plastiche (-9,5%). Neppure il cavallo di battaglia dell’export e’ riuscito a risollevare le sorti di ricavi e commesse, affossati da un mercato interno asfittico. L’Istat, infatti, per il fatturato ha rilevato, rispetto al gennaio 2011, una flessione del 7,1% all’interno dei confini nazionali, a fronte di un aumento sull’estero (+1,3%). Anche sul calo degli ordinativi ha pesato soprattutto la performance negativa del mercato interno (-7,6%), ben piu’ consistente di quanto registrato sul fronte estero (-2,5%). I dati dell’Istat allarmano i sindacati. La Uil guarda ai numeri su fatturato e ordini come una ‘conferma della recessione’ e spiega il calo registrato dal mercato interno con ‘la caduta del potere d’acquisto delle famiglie, dei lavoratori e dei pensionati’. Per il segretario confederale della Cgil, Vincenzo Scudiere, l’Italia e’ ‘un Paese precipitato in piena recessione. Per questo, afferma Scudiere, ‘chiediamo al governo di attivare rapidamente una strategia di politica industriale e per la crescita che inverta urgentemente la rotta’. E sul fronte dei consumatori, il Codacons incalza il governo per il rilancio dei consumi, e torna a chiedere ‘di non aumentare l’Iva a ottobre e di lavorare per una seria riforma fiscale’".

LA STAMPA parte dal dato Istat per parlare delle fabbriche "salvate da chi ci lavora". "Un caso epico e’ quello della Coop Scalvenzi di Pontevico, paesello incastrato tra i tondini bresciani e l’agricoltura cremonese.
In principio furono le Officine Fratelli Scalvenzi: rimorchi agricoli, spandiletame e carri botti. A meta’ anni ’70 l’azienda arriva ad occupare 130 operai prima di entrare in crisi con la seconda meccanizzazione delle campagne. Il risveglio e’ traumatico: a fine anni ’80 l’azienda va in liquidazione, un titolare si suicida, finche’ 20 operai decidono di rilevarla. Il Tfr diventa capitale sociale ma ci vorranno 584 giorni di occupazione per sbloccare la produzione. La svolta arriva nel ’95, con l’acquisto di Tecneco (contenitori rifiuti). L’ambiente diventa il core business per i 35 soci che oggi producono vasche per la compattazione. L’ultimo caso di lavoratori che si comprano l’azienda si chiama Fenix Pharma, nata pochi mesi fa a Roma dalle ceneri di una delle tante sedi chiuse in Europa dalla Warner Chilcott. Nel 2000 la multinazionale aveva lanciato una nuovo farmaco per la cura dell’osteoporosi. Per anni incassa grandi profitti, ma nel 2010 scade il brevetto e il prezzo scende. La casa madre decide la ritirata, licenziando in Italia 150 dipendenti. Cinque manager decidono di non mollare, ‘costruendo una nuova societa’ farmaceutica cooperativa fondata sul patrimonio di relazioni che avevamo maturato in questi anni’, spiega Salvatore Manfredi. Alla nuova avventura aderiscono 39 soci attribuendosi un contratto a progetto per non pesare troppo sui conti della neonata coop che dovrebbe vedere l’utile nel 2013. L’investimento iniziale vale 840mila euro tra acquisizione di licenze, strumentazioni e magazzino. Una mano decisiva arriva da Coopfond e CFI, il fondo mutualistico e la finanziaria di Lega Coop, che entrano nel capitale con 500mila euro. Anche se il business non funzionerebbe senza la passione dei soci, che nella brochure citano Eleanor Roosevelt: ‘il futuro appartiene a chi crede alla bellezza dei propri sogni…’. In gergo tecnico si chiama Wbo, ‘workers buy out’, l’acquisto dell’azienda da parte dei lavoratori. Negli Usa e’ prassi diffusa grazie ai fondi pensione, ma con la crisi sta accelerando anche in Italia. I lavoratori che vogliono proseguire l’attivita’ in fallimento costituendosi in coop, per legge hanno diritto di ricevere dall’Inps l’anticipo di tutto il periodo di mobilita’ da destinarsi al capitale sociale dell’azienda.
Basta vedere i numeri di Coopfond per capire la tendenza: nel periodo 1994-2007 il fondo ha fatto 14 operazioni di questo tipo. Dal 2008 ne ha gia’ varate una ventina, salvando 400 posti di lavoro. Pochi mesi prima di Fenix Pharma la stessa strada era stata imboccata dalla modenese Italtac, azienda specializzata in materiali autoadesivi come la carta per le mitiche figurine Panini. La nuova coop nasce dalle ceneri della ex Diaures, finita in liquidazione. ‘I problemi erano tutti finanziari, il lavoro non scarseggiava’, spiega Carlo Zibordi, presidente della neo-coop costituita da 24 dei 70 dipendenti finiti in cassa. Il primo bilancio e’ positivo: la newco veleggia sui 6 milioni di fatturato e continua ad esportare il 50% della produzione tra Usa, Est Europa e Sudafrica. L’economista Gioacchino Garofoli, impegnato a mappare le esperienze italiane di wbo, parla di ‘positive risposte dal basso alla crisi economica, in una logica partecipativa. Ma purtroppo nella piu’ totale assenza di regia politico-istituzionale e risorse finanziarie per lo sviluppo’. Solo in Toscana, negli ultimi 2 anni, 150 operai hanno ‘ritrovato’ il lavoro perso con l’anticipo di mobilita’. Alla ex Bulleri di Cascina, nel pisano, 27 operai hanno fondato una coop al culmine di un’estate di proteste contro la volonta’ dei proprietari di chiudere l’attivita’.
‘Siamo ripartiti da zero, gli ordini non mancavano ‘, racconta Alberto Bulleri, gia’ direttore commerciale della vecchia azienda, oggi presidente della nuova coop (Bulleri Brevetti) che continua a produrre macchinari per la lavorazione di legno e plastica. Poco distante, delle 50 storiche vetrerie di Empoli oggi ne sono rimaste 5. Tra queste l’unica a lavorare il vetro a mano e a soffio e’ la Vetrerie Empolesi, nata nell’agosto 2010 dalla fusione dei lavoratori di 3 aziende del comprensorio in crisi. Per lavoratori over 45 anni e’ difficile ricollocarsi. ‘Unirsi in cooperativa era l’unica possibilita’ per continuare, ci abbiamo creduto e lo stiamo facendo con sacrifici’, ricorda Andrea Ciampi, dirigente operaio dell’azienda. ‘Con l’anticipo della mobilita’, 120mila euro, abbiamo versato il capitale iniziale’. In tutto sono rientrati in 15 soci piu’ 14 assunti. Il 40% del fatturato continua ad arrivare da clienti esteri. ‘Ci piacerebbe espanderci in Cina, ma prima dobbiamo fare un catalogo, dei campioni, ci servono soldi dalle banche… ‘. E si potrebbe continuare con la modelleriaD&C di Vigodarzene (stampi per fonderie) o la Gres.Lab di Scandiano (Piastrelle). Esperienze di wbo (finora) di successo, dentro un’industria italiana piegata dalla crisi ma che non vuole arrendersi".