FINANZIARIA SICILIANA. TUTTI DEVONO AVERE QUALCOSA… TRANNE LE SICILIANE E I SICILIANI

La finanziaria siciliana è stata approvata, ma chiamarla legge di stabilità è un esercizio di fantasiosa retorica. È una manovra striminzita e arlecchinesca, ridotta da 134 articoli a poco più di cinquanta, dopo diverse notti di riunioni, veti incrociati ed espedienti di ogni tipo. Molte misure “pesanti”, però, sono state rimandate a gennaio con tre “collegati” da ridiscutere e con all’interno mance e norme ordinamentali.

A sugello del degrado politico a cui si è arrivati il messaggio WhatsApp del presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno: «qui c’è gente che ha incassato e gente che è rimasta a bocca asciutta. Non funziona. Chi non ha avuto nulla verrà garantito nelle uniche cose possibili rimaste: tabelle e riserve». È la confessione di un metodo che non si nasconde più: la finanziaria non è pensata per disegnare politiche pubbliche, ma per distribuire risorse a bacini di consenso, compensare malumori e ricomporre equilibri, anche con l’appoggio delle opposizioni.

Il racconto ufficiale della Regione parla di sviluppo, lavoro e sociale, rivendicando il terzo anno consecutivo di approvazione nei termini. Ma dietro la retorica, la sostanza è un’altra: la manovra è un affastellamento di norme spot e incentivi settoriali, senza una strategia per sanità, scuola, trasporti. Si celebrano la Super ZES siciliana e gli incentivi edilizi, si rilancia il “south working” con IRPEF dimezzata per chi rientra, si aumentano le giornate dei forestali e si stabilizzano i precari ESA.

Tutto legittimo e in una regione “normale” scontato e ordinario, ma in questa finanziaria smilza le misure adottate sono rivolte ad ambiti elettorali particolari senza una visione complessiva. E mentre si premiano le solite clientele ben posizionate nelle filiere del potere e che hanno accesso a risorse pubbliche e capitali privati, chi resta indietro sono i lavoratori, i disoccupati, le famiglie più in difficoltà. Non c’è un piano per ridurre le liste d’attesa in sanità, sostenere le scuole, garantire il trasporto pubblico locale, l’agricoltura di qualità, il diritto allo studio. La collettività perde perché le risorse vanno a incentivi a pioggia e contributi discrezionali, non a infrastrutture sociali eque e diffuse sul territorio.

Il cuore più opaco della manovra sono le tabelle e le riserve ai Comuni, approvate capitolo per capitolo dopo scontri furiosi e richieste di voto segreto. Qui si è giocata, paradossalmente, la vera partita: milioni di euro spostati con criteri non trasparenti, inserimenti last minute, negoziazioni fuori dai radar. È il meccanismo che trasforma la legge di bilancio in una moneta di scambio, e che ha portato alla fine all’approvazione.

Ma la responsabilità non è solo della maggioranza. Le opposizioni, che in aula tuonano contro le clientele, hanno garantito il passaggio di norme chiave, diventando stampella tattica di un governo in frantumi. Pd e M5S hanno partecipato alla riscrittura notturna, contribuendo a blindare un testo che non appartiene più alla coalizione eletta nel 2022, ma a un cartello trasversale che si ricompone sulle tabelle e le riserve, ovvero sulla distribuzione opaca e discrezionale delle risorse pubbliche. Sebbene poi, nel voto finale (scontato), abbiano votato contro.

Il voto finale certifica la fragilità politica della maggioranza che ne esce a pezzi. Schifani prepara il rimpasto per sedare i malumori, FI reclama poltrone, Mpa rivendica spazio, mentre il presidente resta defilato. Ma il problema non è chi siederà in giunta: è un sistema che usa la finanziaria per sopravvivere, non per governare.

Questa legge non affronta le emergenze strutturali, non definisce obiettivi verificabili e non garantisce trasparenza. È il ritratto di una politica che scambia risorse per consenso, mentre i cittadini continuano a convivere con una sanità allo stremo, trasporti inefficienti, strade dissestate e scuole fatiscenti. Non è una finanziaria che guarda al futuro: è un meccanismo che preserva rendite e poteri. E, per la prima volta, lo ammette apertamente: in un messaggio privato diventato pubblico si legge la sua essenza, «tutti devono avere qualcosa», mentre i bisogni reali restano sullo sfondo di uno scontro tra élite fameliche e irresponsabili.

Assecondando gli appetiti dei singoli deputati, delle lobby economiche e delle clientele che assediano l’Ars e la Giunta, si perde ogni visione complessiva di miglioramento della vita collettiva, di risposta ai bisogni concreti dei cittadini e di costruzione di servizi indispensabili per le persone più fragili e per i settori economici in difficoltà. Si cancellano le priorità delle lavoratrici e dei lavoratori sfruttati, sulle cui spalle si regge lo sviluppo e la ricchezza regionale. Questa finanziaria non crea futuro: lo sacrifica per garantire che «tutti abbiano qualcosa», anche se il prezzo lo paga la collettività.

Nicola Candido – Direzione Nazionale

Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea