IL PUNGOLO: HAMAS NON INTENDE DEPORRE LE ARMI

Il giornale online di geopolitica internazionale, Gatestoinstitute.org sostiene che “Chi crede che Hamas rinuncerà volontariamente alle armi vive nel mondo dei sogni. Per il gruppo terroristico, questo equivarrebbe a un suicidio. I termini “smilitarizzazione” e “deradicalizzazione” non esistono nel lessico di Hamas”. (Khaled Abu Toameh, Hamas non intende deporre le armi, 16.11.25, Gatestoneinstitute.org)

Secondo il piano del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza, “tutte le infrastrutture militari, terroristiche e offensive, compresi i tunnel e gli impianti di produzione di armi, saranno distrutte e non ricostruite. Ci sarà un processo di smilitarizzazione di Gaza sotto la supervisione di osservatori indipendenti, che includerà la messa fuori uso permanente delle armi attraverso un processo concordato di smantellamento“. Tuttavia, dopo l’annuncio del piano, i funzionari di Hamas hanno ripetutamente sottolineato che il loro gruppo terroristico sostenuto dall’Iran, che ha iniziato la guerra attaccando Israele il 7 ottobre 2023, non ha alcuna intenzione di deporre le armi. È evidente che Hamas vuole conservare le proprie armi per poter continuare il suo jihad (guerra santa) contro Israele e assicurarsi il controllo della Striscia di Gaza.

Pertanto, per Hamas, il piano di Trump, a quanto pare, non è altro che un cessate il fuoco temporaneo con Israele che gli permetterà di riarmarsi e riorganizzarsi. Hamas non crede in alcun processo di pace con Israele. Il suo obiettivo principale è uccidere il maggior numero possibile di ebrei e distruggere lo Stato ebraico. Il giornalista di Gatestone per avvalorare la sua tesi propone una serie di citazioni di esponenti di Hamas, tipo quella di Mohammed Nazzal, membro del Politburo di Hamas che ha detto alla Reuters che Hamas intende mantenere il controllo della sicurezza nella Striscia di Gaza per un periodo ad interim, inoltre, il gruppo terroristico è pronto a un cessate il fuoco della durata massima di cinque anni per ricostruire la Striscia di Gaza, con garanzie per il futuro, a condizione che ai palestinesi vengano dati “orizzonti di speranza” per la creazione di uno Stato.

Alla domanda se Hamas ha rinunciato alle armi, Nazzal ha risposto:

Non posso rispondere con un sì o un no. Francamente, dipende dalla natura del progetto. Il progetto di disarmo di cui parlate, cosa significa? A chi verranno consegnate le armi?” Si parla di schierare forze internazionali a Gaza, un membro dell’ufficio politico di Hamas, Abdul Jabbar Saed, ha respinto l’idea di disarmare il suo gruppo: “Hamas non accetta assolutamente un mandato, né accetta un governo militare da parte di altri. Non sostituiremo il governo militare dell’occupazione israeliana con un altro governo straniero: questa formula è inaccettabile per noi. Qualsiasi formula proposta per governare la Striscia di Gaza sotto la cosiddetta amministrazione fiduciaria internazionale o un Alto Commissario, simile al vecchio modello coloniale, è inaccettabile per Hamas o per tutte le fazioni della resistenza palestinese“. Saeed ha inoltre respinto l’idea di escludere Hamas da un futuro ruolo nel governo della Striscia di Gaza. “Escludere completamente Hamas dalla scena non è possibile”. Secondo l’esponente di Hamas, sono un movimento ben radicato nel popolo palestinese, che hanno vinto le elezioni democratiche nel 2006. Di fatto, si sentono di avere la maggioranza tra il popolo palestinese. Pertanto, nessuno può escluderli dal determinare il destino del popolo palestinese. Hamas non può essere separato dai palestinesi, né può essere escluso, eliminato o bandito, dato che è un’ideologia legata alla resistenza e alla liberazione.

Un funzionario di Hamas rimasto anonimo ha dichiarato che “la questione della consegna delle armi è fuori discussione e non è negoziabile“. Per quanto riguarda le consultazioni diplomatiche, in particolare viene messo in discussione da Gatestone il coinvolgimento del Qatar e della Turchia nella Striscia di Gaza è problematico perché i due Paesi hanno sempre sostenuto Hamas. Entrambi continuano a fornire rifugio a diversi leader di Hamas e agiscono come se ne fossero i legali, difendendo costantemente il gruppo terroristico e condannando Israele”. Diaa Rashwan, direttore del Servizio Informazioni dello Stato egiziano, ha affermato che Hamas ha accettato il congelamento delle armi, non il disarmo. Mentre il giornalista palestinese Ramzi Odeh ha rilevato che le recenti azioni di Hamas, tra cui lo schieramento di miliziani e le esecuzioni extragiudiziali di palestinesi nella Striscia di Gaza, dimostrano che il gruppo terroristico non ha la minima intenzione di deporre le armi. “Hamas, in particolare all’interno della Striscia di Gaza, non è disposto a disarmarsi o a cedere il potere ad altre autorità, soprattutto all’Autorità Palestinese”, ha scritto Odeh. Il servizio fa riferimento al sanguinoso e brutale colpo di Stato militare di Hamas [contro l’Autorità Palestinese nella Striscia di Gaza nel 2007], uccidendo 800 palestinesi. Tuttavia, i comandanti di Hamas sul campo, “usciti dai tunnel dopo un lungo periodo di bombardamenti. Non sono assolutamente disposti a cedere il potere, anche se i vertici di Hamas all’estero lo volessero. Sono determinati a ottenere più ricchezza e più potere“. Bassam Barhoum, un altro editorialista palestinese, ha messo in guardia contro “l’inganno” di Hamas. Il gruppo “continua nei suoi tentativi di controllare i palestinesi. Come i Fratelli Musulmani, Hamas si presenta come un sostenitore della democrazia”. Tutte le battaglie di Hamas, con il pretesto della resistenza, hanno portato benefici solo al gruppo armato, ai Fratelli Musulmani e alle potenze regionali loro alleate (Iran e Qatar). Versando sangue palestinese, Hamas ha cercato di presentarsi ancora una volta come ha fatto nel 2007, ossia come l’entità capace di reprimere e brutalizzare con pugno di ferro. Oggi Hamas è pronto a trascinare il popolo palestinese in una guerra civile se ciò serve i suoi interessi e quelli dei Fratelli Musulmani“.

 

a cura di Domenico Bonvegna