Le mani sulla città. Chi salverà Messina?

Messina ogni tanto fa ridere. E spesso fa spavento. Appena qualche mese fa eravamo in piena apoteosi da acciaio e cemento: l’apertura dei cantieri del Ponte, nuove riqualificazioni, urbane, piste ciclabili, verde a tutto spiano. Insomma, finanziamenti, cascate d’oro, vivibilità garantita, “al massimo”, “il più possibile” e “senza limiti”.

Inno della buona politica nazionale e locale: “Evviva, evviva, evviva la velocità dei cantieri!”. Nelle scorse settimane ad agitare le acque, si fa per dire, la controversa operazione Zanklon, per la realizzazione di tre studentati in città. Altro cemento, altri affari, nuove polemiche in Consiglio comunale. Lo ripeto: l’intera faccenda fa ridere e insieme fa piangere perché è la solita vecchia tragedia di collettività e trasversale operazione di amici, parenti, compari che si ripete come le stagioni. Probabilmente, ripeto probabilmente, qualcuno ci resterà sotto: l’anello più debole della catena. La maggior parte dei progettisti e dei compari potenti se la darà a gambe: non sapeva, non aveva visto, non aveva capito.


Ho riVisto <le mani sulla città>, un bellissimo film d’inchiesta di Francesco Rosi del 1963, quando nasceva il cinema di denuncia, oggi quasi del tutto sparito. E’ incredibile come le scene, i protagonisti, le ambientazioni, le parole, le facce, le urla di protesta, i sussurri e grida di una classe politica già bella e corrotta per gli anni a venire, siano perfettamente attuali. Se non fosse per il bianco e nero, questa ordinaria storia di speculazione edilizia in una Napoli divisa tra case fatiscenti e inutili colate di cemento, sembrerebbe cronaca di oggi. In sessanta e passa anni, nulla è cambiato: chi salverà Messina?