Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso e non avete mai avuto il coraggio di chiedere a Valditara

Il rapporto tra scuola e famiglia è uno dei temi cardine nel dibattito pedagogico e sociale, soprattutto per quanto riguarda l’educazione affettiva, le soft skills e lo sviluppo integrale della persona. L’affettività non rientra tra le soft skills nella classificazione classica delle competenze, ma può essere considerata la radice o il terreno da cui molte capacità relazionali traggono origine. Le due cose si assomigliano, si integrano, ma sono un’altra cosa rispetto alle conoscenze.

Chi insegna le conoscenze sessuali e chi le competenze affettive?

La famiglia è ancora considerata la prima agenzia educativa, responsabile della formazione affettiva, dei valori di base, delle competenze relazionali e dell’identità personale. In famiglia – in qualsiasi tipo di famiglia – si sperimentano amore, empatia, ascolto e regole sociali fondamentali. La scuola ha storicamente il compito di trasmettere conoscenze, sviluppare capacità critiche e favorire la socializzazione tra pari. Insegnare le soft skills è un compito molto arduo, spesso banalizzato o improvvisato.

Negli ultimi decenni, è stato attribuito alla scuola anche il ruolo di educatrice affettiva – in combinazione con l’educazione sessuale – nonché promotrice di competenze trasversali. La scuola pretende di insegnare anche le soft skills, con una delega non del tutto consapevole da parte delle famiglie.

In questa situazione, dove si pone il confine tra le responsabilità educative della famiglia e della scuola? E qual è il confine che lo Stato non deve superare?

Molti ritengono che l’affettività (cioè la capacità di riconoscere, esprimere e gestire emozioni e sentimenti) possa essere accompagnata, stimolata e sviluppata anche in contesti scolastici. Attività strutturate, come l’educazione civica, il teatro scolastico, la scrittura creativa, i laboratori di ascolto e il dialogo filosofico, sono usate per sviluppare empatia, consapevolezza emotiva e relazione positiva con sé e gli altri. Le esperienze dei paesi del Nord Europa appaiono incoraggianti, ma non definitive. Questo perché, in ogni caso, l’affettività, per sua natura, non è una materia insegnabile come la matematica: riguarda dimensioni profonde, personali e spesso inconsce, appunto non riguarda solo le conoscenze ma anche le competenze.

La scuola corre il rischio di invadere la sfera privata o di uniformare emozioni e sentimenti secondo modelli stereotipati. Non sono pochi quelli che credono che la vera crescita affettiva si sviluppi solo vivendo e che la scuola dovrebbe offrire occasioni di incontro, ma non insegnare le emozioni e gli affetti in modo prescrittivo, come si fa con la matematica, la grammatica e la sintassi.

Poi c’è lo Stato e inevitabilmente la Scuola di Stato.

Lo Stato etico (tipicamente associato a pensatori come Gentile) si propone di orientare, guidare e anche formare la vita morale e affettiva dei cittadini. Considera la comunità (e spesso l’istituzione scolastica) come responsabile della crescita non solo intellettuale, ma anche affettiva e morale degli individui. L’affettività diventa oggetto di intervento pubblico e lo Stato può legittimarsi nell’educare sentimenti collettivi, valori comuni, senso di appartenenza, solidarietà. Il rischio è che la formazione affettiva possa diventare strumento di uniformazione, omologazione e controllo sociale, una terribile fattispecie di totalitarismo pedagogico.

Lo Stato liberale pone come principio la tutela della libertà individuale e della sfera privata, limitando l’intervento sul piano dei sentimenti e dell’affettività. La scuola ha il compito di trasmettere conoscenze e strumenti critici, ma non deve imporre modelli valoriali, né insegnare come provare affetto o quali emozioni siano giuste. L’affettività resta ambito delle relazioni personali, familiari e sociali, tutelata dal rispetto della pluralità.

La non ingerenza può tradursi in mancanza di attenzione o supporto ai bisogni affettivi, lasciando sola la famiglia o sottovalutando il disagio emotivo.

Al momento attuale gli schieramenti di governo e di opposizione sembrano invertire le posizioni tradizionali. La destra vuole limitare l’azione educatrice della scuola, lasciando libere le famiglie di decidere, di dare un consenso informato, la sinistra vuole l’opposto.

Quanto sia difficile e spinoso l’argomento, lasciato in pasto a opposti schieramenti urlanti e inabili, lo conferma un dato drammatico e geografico che riguarda un aspetto del quale solitamente poco si parla: le gravidanze di mamme minorenni.

Secondo i dati ISTAT aggiornati, in Italia nel 2023 sono stati registrati 2.928 bambini nati da madri di massimo 19 anni. Il fenomeno mostra un marcato divario geografico. Il 65% delle madri adolescenti (under 19) vive al Sud, nel Nord Italia il 24% e nel Centro Italia l’11%.

Questo significa che quasi 2 ragazze madri minorenni su 3 vivono nelle regioni meridionali, mentre al Nord il fenomeno è notevolmente più raro.

Sembra che sia la scuola sia le famiglie abbiano un grande problema sessuo-affettivo e che entrambe siano poco attrezzate a fronteggiarlo.

Vi pare che lo siano Valditara e le opposizioni?

 

 

Gian Luigi Corinto, docente di Geografia e marketing agroalimentare Università di Macerata, collaboratore Aduc