L’attività prestata in favore di una persona gravemente malata di Alzheimer e ricoverata in istituto di cura è qualificabile come attività sanitaria, quindi di competenza del Servizio Sanitario Nazionale, ai sensi dell’articolo 30 della legge 730/1983, non essendo possibile determinare le quote di natura sanitaria e detrarle da quelle di natura assistenziale, stante la loro stretta correlazione, con netta prevalenza delle prime sulle seconde; ne consegue la non recuperabilità, mediante azione di rivalsa a carico dei parenti del paziente, delle prestazioni di natura assistenziale erogate dal Comune.
L’onere economico delle relative rette deve quindi essere posto interamente a carico del Servizio Sanitario Nazionale, in virtù del primato del diritto alla salute del cittadino.
La tutela del diritto alla salute, sancita dalla Costituzione e dalla normativa di settore, assume un valore preminente anche rispetto a eventuali accordi stipulati in sede di ricovero. Di conseguenza, anche in presenza di atti unilaterali con cui il paziente o i suoi familiari si obbligano al pagamento della retta, tali impegni non producono alcun effetto giuridico, in quanto contrastano con il principio della totale gratuità delle prestazioni sanitarie inscindibili e prevalenti.
Tali principi valgono non solo nel caso di pazienti affetti da morbo di Alzheimer, ma anche in presenza di altre patologie degenerative, come la demenza senile, ovvero disabilità dovute a deficit cognitivi, occorrendo più in generale verificare se, in relazione alla malattia di cui è affetto il paziente, siano necessarie prestazioni di natura sanitaria che non possono essere eseguite se non congiuntamente alla attività di natura socio-assistenziale.
Così una sentenza del Tribunale di Pordenone: https://www.aduc.it/generale/files/file/newsletter/2025/novembre/TRIBUNALE%20DI%20PORDENONE.pdf
Smeralda Cappetti, legale, consulente Aduc
