Non sarà una bolla di sapone? Matilde e la casa sul Ponte

di Andrea Filloramo 

Messina è una città dove l’incuria è diventata normalità e la rassegnazione un’abitudine, che avrebbe tutto per rinascere, ma che viene lasciata marcire tra promesse elettorali e silenzi compiacenti. 

Eppure, volendoci riferire soltanto al dopoguerra, non sono mancati politici di rilievo messinesicome diversi presidenti della Regione, numerosi parlamentari a vari livelli, che non hanno voluto o – per essere benevoli – non hanno potuto strapparle d’addosso quella maglia che la rende “la città babba”, che significa la città innocua, ingenua o immune a qualcosa e, quindi, incapace di risollevarsi dalla sorte, alla quale il fato l’ha destinata. 

Oggi fra i deputati che siedono al parlamento c’è Matilde Siracusano, «figlia della borghesia messinese», sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, deputata di Forza Italia e, in quanto tale “fedele a Berlusconi”, che intende cioè, a ogni costo,  difendere la sua identità politica anche all’interno di una Destra ormai dominata da Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia e dalla maldestra  Lega, le cui redini fino a ora sono nelle mani di un personaggio insicuro ma utile alla maggioranza, che porta il nome di Matteo Salvini.  

Tuttavia, di fronte allo stop della Corte dei Conti, l’Onorevole, presa dal “fuoco berlusconiano” e ripetendo quella che è stata   la prima reazione di Meloni e di Salvini, senza forse molto riflettere, disse:  

Il governo ha creduto sin dall’inizio nella realizzazione del Ponte, un’infrastruttura non più rinviabile, indispensabile per lo sviluppo e la modernizzazione dell’intero Mezzogiorno. Attendiamo di leggere le motivazioni, ma è difficile comprendere la logica di una decisione che appare più politica che tecnica. Forza Italia, il ministro Salvini e l’intero esecutivo Meloni andranno avanti con determinazione, perché solo attraverso le grandi opere, la crescita e le opportunità possiamo costruire un’Italia più moderna, competitiva e capace di offrire al Sud il futuro che merita”. 

L’onorevole, da democratica com’è, permetterà di fare alcune osservazioni critiche alla sua esternazione, dicendo,  innanzitutto, che la Corte dei Conti – facendo ciò che costituzionalmente doveva fare – non ha negato la necessità della costruzione di un Ponte che unisce la Calabria con la Sicilia, ma ha reso noto che quel progetto, fatto ai tempi del Cavaliere, era non solo obsoleto, ma difettoso in molteplici punti e che il governo, pur sapendolo già dal mese di maggio, non era intervenuto – e forse non poteva intervenire – per una nuova stesura e per una nuova gara.  

In parole povere: il governo non aveva tenuto conto di quanto richiesto dalla legge italiana e da quella europea.  Inoltre, appare erronea e sicuramente molto discutibile, la definizione fatta dalla Siracusano del Ponte da lei considerato “un’infrastruttura non più rinviabile, indispensabile per lo sviluppo e la modernizzazione del Mezzogiorno”.  

Basta, infatti, poco per capire che questa la solita formula magica: progresso, modernità, crescita. Peccato che, nella realtà – e l’onorevole, da messinese e da residente in Calabria, lo sa – il Sud resti senza treni decenti, con strade che franano e reti idriche che perdono l’acqua. Ogni volta che il Sud chiede infrastrutture vere, la politica risponde con il solito miraggio: il Ponte sullo Stretto, che da mezzo secolo è la grande illusione bipartisan: lo si promette, lo si annuncia, lo si celebra.  

Siracusano parla di una decisione “più politica che tecnica”, ma nulla è stato più politico del Ponte stesso. È il grande feticcio di ogni governo in cerca di consenso: un sogno da campagna elettorale, buono per titoli e rendering, pessimo per bilanci e priorità. Dietro le parole sulla “modernizzazione” si nasconde l’assenza di una strategia vera per il Mezzogiorno, da dove i giovani scappano perché non ci sono posti di lavoro. Nessun piano di mobilità interna, nessuna rete ferroviaria efficiente, nessuna visione industriale. Si costruisce il mito del Ponte mentre le ferrovie siciliane viaggiano ancora a 70 chilometri all’ora e la Calabria resta isolata dai corridoi europei del trasporto. 

Il Ponte è diventato un simbolo perfetto per un Paese che vive di narrazioni: mai, però, un metro di acciaio potrà colmare il divario tra propaganda e realtà. Il Sud non ha bisogno di un monumento al nulla, ma di un governo che smetta di vendergli miraggi. 

Finché la “modernizzazione” sarà solo un titolo buono per la prima pagina, il Mezzogiorno continuerà a restare esattamente dov’è: fermo, tradito e dimenticato — ai piedi di un ponte che non esiste e, forse non potrà mai esistere. 

Per finire: chi scrive parla da messinese e quindi da siciliano che, pur vivendo al Nord da tanto tempo, ama quella che ritiene non solo l’Isola dove è nato e in cui ha prestato la sua opera per un decennio della sua gioventù. Il suo desiderio è che i messinesi e i siciliani non si lascino ingannare dai falsi miti.