Pesaro esempio positivo di impegno ambientalista contro lo strapotere dell’industria fossile

Pesaro – Viviamo in un tempo in cui le scelte energetiche non devono essere più semplici progetti industriali, ma atti di civiltà. La corsa globale al fossile — giustificata con parole come “transizione” o “sicurezza energetica” — nasconde spesso un’arroganza sistemica: quella delle grandi aziende che continuano a invadere territori, corrodere suoli, alterare ecosistemi e manipolare coscienze. È una corsa senza etica, che trasforma la terra in una risorsa da spremere e le comunità in ostacoli da rimuovere. Laddove arriva il potere del petrolio o del gas, scompaiono lentamente il diritto alla salute, alla bellezza, alla speranza.

Pesaro, con la sua vicenda del progetto GNL, è un simbolo di resistenza civile e di lucidità collettiva. Qui la società civile, i comitati e i cittadini hanno saputo opporsi a un piano che avrebbe trasformato la città in un nodo della filiera del metano liquefatto: un impianto collocato nel cuore di un’area fragile, vicino a case, scuole, aziende, parchi e mare. Non era un semplice errore tecnico, ma un errore disastroso per la stessa città e il suo futuro. L’idea che il progresso possa ancora misurarsi in tonnellate di gas liquido e non in qualità della vita appartiene a una mentalità da cui il pianeta deve staccarsi. La battaglia di Pesaro non è stata solo locale: è stata un segnale europeo e mondiale, un monito contro il gigantismo energetico che, nel XXI secolo, continua a presentarsi sotto inganni ecologici.

Mentre i governi annunciano piani di neutralità climatica e sostenibilità, le compagnie del fossile consolidano infrastrutture destinate a durare decenni. Ed esercitano un’influenza sempre più forte su istituzioni ed enti di controllo e tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Il loro un doppio linguaggio che tradisce i cittadini e condanna le generazioni future a respirare aria viziata e a vivere su terre contaminate. Da nord a sud del mondo, i segni sono ovunque: falde compromesse, coste avvelenate, comunità costrette a emigrare per fuggire dall’inquinamento. Eppure, chi osa denunciare viene spesso isolato, accusato di estremismo, perfino trascinato in tribunale. La forza delle multinazionali non è solo economica, ma riguarda ogni comparto della società, la sicurezza delle popolazioni, i diritti umani, l’integrità dell’ambiente. Parlano di energia come di un destino, non di una scelta e presentano i progetti più invasivi e perniciosi come percorsi “green” al servizio delle comunità.

Ma il futuro non appartiene a chi trivella, bensì a chi semina. La civiltà vera non è quella che costruisce serbatoi più grandi, ma quella che sa dire “basta” al superfluo, all’ingiusto, al distruttivo. La resistenza di Pesaro, come quella di altre comunità nel mondo, non nasce da ideologie ma da una consapevolezza profonda: la Terra non è un deposito, è una casa. E difendere una casa significa difendere la dignità.

È tempo di fermare questa follia lucida, di rompere il meccanismo che lega profitto e devastazione. Ogni cittadino, ogni istituzione, ogni autorità ha la responsabilità di scegliere da che parte stare: dalla parte della vita o da quella dell’inquinamento travestito da progresso. Il futuro, se avrà ancora un colore, dovrà essere quello del verde delle colline e del blu del mare, non del grigio dei fumi industriali. Pesaro lo ha compreso o almeno, la sua società civile, pagando un altissimo, iniquo prezzo. Ora serve che anche il mondo istituzionale, politico ed economico ascoltino.