di Andrea Filloramo
La Corte dei Conti che ha in esame il dossier relativo al progetto Ponte sullo Stretto, ha deciso di inviarlo alla “Sezione Centrale”, a causa delle criticità e dei dubbi che ancora non stati superati e chiariti, nonostante le integrazioni inviate – come già richieste – dal Governo.
Da osservare che il “passaggio alla Sezione centrale” del dossier non è da considerare solo un atto burocratico, ma è l’indicatore più chiaro che, così com’è, a giudizio della Corte dei Conti, il progetto – a causa di un iter non completamente motivato e trasparente, che rischia di fare esporre lo Stato a rischi di inefficienza, extra-costi o violazioni normative – non può avere un futuro.
Da ciò deriva che sul piano pratico è molto improbabile o forse è impossibile che il Ponte, così come progettato nel suo articolato iter, possa realizzarsi.
Quanto detto, al di là delle dichiarazioni pubbliche del ministro Matteo Salvini, che – come ormai tutti sanno – servono solo a mantenere il consenso tra gli elettori; del commento del ministro Giorgetti, che assicura che il progetto sarà sicuramente migliorato; delle esternazioni di Pietro Ciucci della Società Stretto di Messina S.p.a, che si mostra fiducioso sull’esito positivo dell’esame della Corte nella seduta delle Sezione Centrale della Corte dei conti del prossimo 29 ottobre.
Ampia, infatti, è la mappa dei rischi della delibera Cipess, in cui si rilevano: pareri mancanti, iter ambientale da integrare, coperture da validare, un piano economico-finanziario incerto, un’ istruttoria documentale da rafforzare, risorse impegnate ritenute rilevanti, modifiche importanti intervenute nel progetto originario rilevanti modificazioni soggettive registrate dalla Società Stretto di Messina S.p.a, modificazioni intervenute rispetto alle modalità di finanziamento dell’opera originariamente rimesso a capitale anche privato e attualmente a valere sulle finanze pubbliche, mancata trasparenza dei processi decisionali e valutativi, non compatibilità con UE ed altri problemi.
In parole povere e in sintesi. Per superare le molteplici incertezze, i dubbi e per recuperare atti mancanti, la Corte dei Conti chiede maggiori e più certe garanzie sulla sicurezza e sulla fattibilità dell’opera; piani realistici di finanziamento e di ritorno economico; valutazione ambientale rigorosa; equilibrio tra interesse pubblico e aspettative locali.
Finché anche uno solo di questi punti resta fragile, incompleto, irrealistico o non validabile il progetto non si può realizzare.
Certamente la decisione della Corte dei Conti non l’ha preso bene Salvini. Sa che la mancata realizzazione del Ponte sullo Stretto obbliga lo Stato a dover pagare una penale di circa 1,5 miliardi di euro alle imprese.
E’ questo un vincolo, voluto e controfirmato dal governo, che pesa sulle spalle dei contribuenti e non su quelle del Ministro delle Infrastrutture che ha voluto e ha enfatizzato il progetto del più lungo del mondo che, già è costato molto, pur sapendo che è estremamente difficile realizzarlo.
Una domanda nasce spontanea: «A questo punto non è forse opportuno che il governo ritiri il progetto e apra un confronto vero sulle infrastrutture in Calabria e Sicilia e obblighi – non sappiamo come – chi ha operato quello che dalla Corte dei Conti è stato considerato (almeno così sembra) uno “scempio”, paghi eventualmente le penali previste e non, come al solito, “paghi Pantalone”?
Una nota a margine: Per chi non lo sa l’espressione “paga Pantalone” deriva dalla Commedia dell’arte, dove Pantalone è una maschera veneziana che rappresenta un vecchio mercante ricco, avaro e facilmente raggirabile. Il detto significa che alla fine paga sempre qualcuno, spesso quello che ha meno colpa o addirittura quello che dovrebbe essere pagato da altri, come Pantalone che si ritrova a pagare conti salatissimi a insaputa.
