
La bioingegneria sta riscrivendo le regole della cardiologia interventistica. Grazie alla sinergia tra le due discipline, infatti, gli interventi diventano più efficaci e precisi, migliorando drasticamente la prognosi e la qualità della vita dei pazienti. L’impatto maggiore si registra nella diagnosi e cura delle malattie valvolari. Inoltre, la bioingegneria ha rivoluzionato la dotazione tecnologica del cardiologo interventista, partendo da una nuova generazione di tecnologie. Per gli interventi sulle coronarie, si parla dello sviluppo degli stent a rilascio di farmaco (DES) come dei nuovi stent parzialmente o interamente riassorbibili e dei palloncini medicati (DCB, drug-coated balloon), strutture che svolgono la loro funzione di supporto riducendo al minimo o eliminando tracce permanenti sull’organismo. Per l’interventistica strutturale, si tratta di una vera e propria rivoluzione guidata dalla TAVI per la valvulopatia aortica per arrivare ai vari dispositivi per il trattamento delle valvole mitrale e tricuspide.
Tuttavia, siamo dinanzi a una rivoluzione a metà: le potenzialità dell’alleanza strategica tra bioingegneria e cardiologia interventistica vengono infatti sfruttate solo in parte. Questo sarà uno dei grandi temi, cruciali per il futuro, che verranno affrontati al 46esimo congresso nazionale della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), che si apre oggi a Milano. L’obiettivo è chiaro: avvicinare i giovani interventisti alla bioingegneria, mostrando come queste conoscenze possano trasformarsi in strumenti pratici per la sala di emodinamica e migliorare l’outcome dei pazienti.
“L’edizione di quest’anno rappresenta un’occasione unica di confronto tra bioingegneri e cardiologi interventisti, due specializzazioni diverse che insieme stanno rivoluzionando la lotta alle malattie cardiovascolari – spiega Francesco Saia, presidente GISE –. Dalla ricerca alla diagnosi, dalla creazione di nuovi device a nuove tecniche d’intervento, il ‘matrimonio’ tra bioingegneria e cardiologia interventistica presenta innumerevoli vantaggi. Tuttavia, finché non impareremo a condividere le competenze e ad acquisire un linguaggio comune, buona parte delle potenzialità di questa unione rischiano di rimanere inespresse”. Mai come oggi è necessario trarre il massimo vantaggio da questo “matrimonio” di competenze. “Mentre la popolazione invecchia, la gestione delle patologie valvolari, spesso complicate da condizioni coesistenti come l’insufficienza cardiaca, si fa sempre più sfidante – aggiunge Alfredo Marchese, presidente eletto GISE –. Tradizionalmente, la comprensione di queste dinamiche era limitata da studi clinici invasivi e dall’inevitabile variabilità tra i pazienti”.
Oggi, come evidenziato in recenti studi di bioingegneria cardiaca, la modellazione computazionale del sistema cardiovascolare sta emergendo come un nuovo prezioso strumento diagnostico. “Questi modelli sofisticati – precisa Sergio Berti, Direttore U.O.C. Cardiologia diagnostica ed interventistica Fondazione C.N.R. Reg. Toscana sede di Massa e sede di Pisa, che ha organizzato una sessione sull’argomento al congresso GISE insieme a Simona Celi, Direttore U.O.C. Bioingegneria Fondazione C.N.R. Reg. Toscana sede di Massa e sede di Pisa – creano repliche virtuali dettagliate della funzione cardiaca, consentendo agli scienziati di simulare l’interazione tra le valvole malate, le camere cardiache e la circolazione sanguigna. Il vero valore aggiunto è il salto verso la modellazione paziente-specifica. Collegando i modelli ai dati diagnostici individuali, si crea un ‘gemello digitale’ del cuore di un paziente”.
I MECCANISMI – Avere a disposizione il gemello digitale del paziente permette di fare luce sui meccanismi patologici. Può ad esempio aiutarci a comprendere come una valvola danneggiata interagisce con una fibrillazione atriale, o testare terapie per prevedere l’effetto di un intervento prima che questo avvenga. “In un futuro prossimo – sottolinea Marchese – questi modelli non saranno solo strumenti di ricerca, ma un ausilio clinico indispensabile per la prognosi e la personalizzazione del trattamento, guidando i medici nella valutazione diagnostica e nella scelta della strategia più ottimale”.
LA TECNOLOGIA – Parallelamente alla simulazione numerica, la bioingegneria ha rivoluzionato la dotazione tecnologica del cardiologo interventista. Un esempio chiave di questa collaborazione è il sistema TAVI (Transcatheter Aortic Valve Implantation). “Questo sistema – spiega Saia – permette di impiantare una valvola pieghevole e auto-espandibile attraverso un piccolo accesso vascolare, evitando la chirurgia a cuore aperto. L’ingegneria dei materiali e la meccanica dei sistemi di delivery (il catetere) sono cruciali per la riuscita di questo ‘miracolo’ mininvasivo”.
I DISPOSITIVI – Inoltre, vanno segnalate le nuove generazioni di dispositivi: dagli stent a rilascio di farmaco (DES) ai futuri bioresorbable scaffolds (BVS), strutture che svolgono la loro funzione di supporto e poi vengono completamente riassorbite dall’organismo. Innovazioni anche sul fronte delle procedure percutanee per la riparazione della valvola mitrale e della tricuspide, aprendo la strada a soluzioni meno invasive anche per pazienti precedentemente inoperabili.
LA BIO-INTERVENTISTICA – Infine, la collaborazione si spinge anche oltre sistemi e dispositivi meccanici, abbracciando la ‘cardiologia biointerventistica’. “Questo campo unisce le tecniche mininvasive a nuovi approcci biologici e digitali – spiega Saia –. Risultati evidenti sono stati registrati sul fronte dell’imaging intravascolare: tecnologie come l’OCT (Tomografia a Coerenza Ottica), figlie della bioingegneria, forniscono una valutazione anatomica e funzionale dettagliata delle lesioni coronariche, permettendo ai cardiologi di posizionare gli stent con una precisione micrometrica”.
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE – In questo contesto l’Intelligenza artificiale e il machine learning giocano un ruolo cruciale per ridurre i tempi di elaborazione, migliorare la diagnostica, la stratificazione del rischio e, soprattutto, la pianificazione procedurale, ottimizzando la scelta e l’angolo di impianto dei dispositivi. “Infine, con la stampa 3D è possibile creare modelli fisici identici al cuore del paziente, trasformando un concetto digitale in uno strumento tangibile per simulare l’intervento e risolvere le sfide complesse prima di entrare in sala operatoria”, aggiunge Berti.
“Il successo di questi avanzamenti è il risultato di un’interazione costante tra l’acume ingegneristico e la maestria clinica del cardiologo interventista: entrambi stanno riscrivendo le regole del trattamento cardiaco – concludono Saia e Marchese –. La frontiera non è più solo ‘aggiustare’ il cuore, ma prevedere, rigenerare e personalizzare la cura. Spostando la ricerca dal bisturi al pixel e dal metallo ai biomateriali, la medicina cardiovascolare promette un futuro in cui le patologie cardiache saranno affrontate con strategie sempre più precise, mirate e, soprattutto, meno traumatiche per il paziente”.