Giornata internazionale del caffè. La ‘festa’ dell’ipocrisia

Oggi 1 ottobre è la festa internazionale del caffè. Non ne sentivamo il bisogno ma – tant’è – una festa non si rifiuta a nessuno, neanche ad una delle maggiori droghe legali: la competizione è con l’alcol che, se non ci fosse il veto di alcune religioni e Paesi, forse sarebbe la prima droga consumata.

Fatta questa premessa, al netto delle euforie diffuse che decantano il nostro Paese come il migliore (sicuramente per l’espresso, ma per il resto è meglio lasciar perdere), ci interessa rilevare una “ipocrisia” sul prezzo dell’espresso.

Tempeste, temporali, inflazioni altalenanti, miscele super o mediocri, bar di lusso o “normali”,  investimenti pubblicitari miliardari o piccole aziende anche famigliari in territori limitati… la tazzina dell’espresso è inchiodata ai suoi prezzi che, oggi, mediamente  vanno da 1,20 a 1,50 euro (casi rari), ovviamente senza sedersi in alcuni tavolini che, in aggiunta, calcolano anche l’aria che si respira e il panorama/struscio che si ammira.

Un prezzo fuori mercato, frutto di un “sentiment” (prendiamo in prestito il termine  dai mercati finanziari) che individua in questo consumo una sorta di calmiere per far credere al cliente medio che tutto sia sotto controllo, niente straborda e il proprio potere d’acquisto sia eccellente…. che se si prende una brioche/cornetto/pasta, senza  il “sentiment” di cui prima, con un flashback si torna  alla realtà: da 1,50 a 3 euro in più  (in piedi al banco, ovviamente).

Ed è anche per questo che quando si fa lo scontrino prima o dopo l’acquisto della tazzina, ci si deve districare per cercare il piatto in cui poggiare i soldi (o porgere la carta che provoca la smorfia del cassiere) tra espositori che ci offrono tutto e di più di quanto farebbe impallidire anche un medico/dietologo meno esigente.

Ed è per questo che – “ordinanze” delle associazioni di categoria che impongono anche i prezzi massimi per la  tazzina – oggi – giorno della festa – tutti dovremmo sentirci più felici, più sicuri, più forti e “pimpanti” con la nostra droga quotidiana.

Il caffè è bello e buono, ma le politiche intorno a esso (anche un pensierino ai raccoglitori lontani non guasta), non ci possono far sentire a disagio e presi in giro da chi ci vuol fare credere che la nostra “identità” di consumatori è garantita da un ferreo controllo del costo al  dettaglio.

Un po’ come con il cacao… ma questo – pur simile – è un altro discorso.

 

 

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc