
di Andrea Filloramo
Leggo in un giornale che promuove il progetto del Ponte sullo Stretto: “Ogni innovazione nasce quasi sempre in un terreno incerto, esposto a scosse e fragilità. E’ proprio in quella incertezza che l’uomo scopre la sua forza: la capacità di progettare, di osare, di immaginare un futuro migliore. Il progresso non elimina i pericoli, ma li attraversa, trasformandoli in occasione di crescita. Pertanto, ogni volta che si parla del Ponte sullo Stretto, qualcuno cita il terremoto del 1908”.
Per vedere se quanto scritto sia vero o denuncia una superficialità prodotta da un meccanismo psichico chiamato dalla psicologia sociale “elaborazione automatica”, con cui attribuiamo a ciò che accade o accadde nel passato, significati a seconda delle informazioni che ci vengono dati o che sono più facilmente accessibili, oppure che già abbiamo in mente, e, quindi, dedichiamo scarso impegno alla sua più attenta valutazione, basta essere bene informati di quanto accadde veramente il 28 dicembre 1908, quando nell’alba in soli 37 secondi, Messina fu cancellata totalmente dalla mappa e oltre 80.000 persone persero la vita.
Ma ciò non basta per programmare la costruzione di un Ponte nello Stretto di Messina, in quanto ridurre il problema a quell’ unico evento – seppure il più tragico della storia italiana moderna – significa dimenticare una verità più profonda: Messina è una terra che trema da sempre e continuerà per sempre a tremare.
La sua storia è costellata da catastrofi sismiche ricorrenti. Già nel 91 d.C. un terremoto di cui scrissero le cronache romane rase al suolo parte della città. Nel 365 d.C. uno tsunami nato a Creta travolse anche le coste siciliane e calabresi, devastando totalmente Messina. Nel Medioevo, nel 1169, un sisma potentissimo distrusse Catania e colpì duramente anche lo Stretto, provocando decine di migliaia di morti.
La sequenza non si arrestò nei secoli successivi: nel 1542 un altro terremoto scosse Messina, e nel 1783 una serie di violentissime scosse devastò la Calabria meridionale e lo Stretto, seminando 30.000 vittime e generando frane e maremoti. Infine, nel 1908, la catastrofe più nota, che ridusse in macerie due città intere e divenne un trauma nazionale.
Questa affrettata cronologia non è un elenco di sventure passate, ma un avvertimento: i grandi terremoti nello Stretto non sono un’eccezione, sono la regola. Lo Stretto di Messina, infatti, è un’area ad altissima pericolosità sismica, tra le più studiate del Mediterraneo.
lo Stretto si trova lungo una fascia di contatto tra la placca africana e quella euroasiatica, in cui si concentrano faglie attive che generano forti terremoti. I principali terremoti storici nello Stretto hanno magnitudo >6, fino a 7.1 (1908). In un contesto mediterraneo, questi valori sono fra i massimi registrati. Non solo scuotimento, ma anche tsunami (1908, 1783, 1693) che aumentano la gravità degli eventi.
Non significa che un terremoto catastrofico arrivi a intervalli regolari e prevedibili, ma che la storia sismica dello Stretto è una sequenza continua di forti eventi. Dunque, la probabilità che in futuro si verifichino nuovi terremoti di grande intensità è intrinseca alla geodinamica della regione. Ogni periodo di pochi secoli, un sisma di magnitudo distruttiva si ripresenta. Non è questione di “se”, ma di “quando”.
In questo contesto, immaginare di erigere il Ponte sospeso più lungo del mondo appare più come una sfida alla natura che un atto di progresso, come se la tecnologia potesse piegare leggi geologiche che hanno già dimostrato la loro forza devastante.
Da un lato l’opera, indubbiamente, sarebbe un primato ingegneristico, dall’altro, però, rischia di essere percepita come un atto di hybris, cioè di eccesso di fiducia dell’uomo nei confronti di forze che non controlla né può controllare.
Il ponte nello Stretto non è solo cemento e acciaio, che, però, in ogni caso, distrugge l’ambiente, ma è un mito che non unisce ma divide: per alcuni è una promessa di modernità, per altri, invece, un monumento fragile in una terra che la natura ha più volte messo in ginocchio.
Certo che gli ingegneri di grande fama – ma non tutti – assicurano che la struttura potrebbe resistere a magnitudo fino a 7.5, ma a cosa serve un colosso che resta in piedi se intorno tutto si sgretola? Il vero problema non è la grande arcata sospesa sul mare, ma sono gli ancoraggi sulle coste friabili, le rampe costruite su terreni instabili, le gallerie scavate in montagne fragili. Sono i collegamenti ferroviari e stradali, che al primo scossone rischiano di trasformarsi in macerie. È lì che si gioca la partita, ed è lì che si perde. Vale proprio la pena deturpare uno dei luoghi più belli del mondo con un manufatto di cemento inutile e dannoso?
Un ponte che resiste in mezzo allo Stretto mentre le vie di accesso collassano è come un castello con le torri intatte ma senza porte né mura: simbolico, monumentale ma completamente inutile.
La verità è che l’ossessione del Ponte nasconde la fragilità dell’opera nel suo insieme, l’assenza di prevedibili benefici. È l’ennesimo spot politico, di stampo “Salviniano”, che, come tutti gli altri spot provenienti da quella “parte”, riduce tutti i problemi complessi a slogan per lo più banali senza pensare che l’elettore, se serio e responsabile, è diffidente e pretende contenuti concreti. Lo spot politico, da chiunque venga fatto, se riferito al Ponte – è bene ribadirlo – è, perciò, uno strumento emotivamente coinvolgente di persuasione strategica, progettato solo per influenzare atteggiamenti e comportamenti di voto, travestiti da alta ingegneria con cui esibisce in maniera ossessiva la forza del gigante, ma tace totalmente sulla debolezza delle sue gambe.
La storia di Messina dimostra che lo Stretto non è una cornice neutra su cui innestare opere record, ma una faglia viva, instabile, che periodicamente presenta il conto. Costruire lì un ponte non significa soltanto investire miliardi che aumenteranno sempre di più: significa scommetterli contro la memoria stessa della terra.
L’Italia ha già un monumento al dolore nello Stretto, ed è la città fantasma del 1908, ricostruita sopra le macerie.
Ripetere lo stesso errore, ignorando secoli di lezioni scritte nelle pietre e nelle onde, sarebbe un atto di leggerezza imperdonabile. Il Ponte sullo Stretto non unisce l’Italia, ma è il simbolo della sua amnesia storica.