Telefonini vietati a scuola. Istruire e non vietare

Le scuole sono ripartite coi soliti e permanentemente irrisolti problemi (insegnanti che mancano, edilizia precaria, etc). Quest’anno se n’è aggiunto uno nuovo: in classe, negli istituti superiori come l’anno scorso per quelli inferiori, non si possono portare i telefonini.

Il ministero dell’Istruzione e del Merito, quando l’anno scorso varò il provvedimento per le medie, venne fuori con una infelicissima dichiarazione: “Non credo che si faccia buona didattica con un cellulare”. Un colpo ben assestato per far capire agli studenti e alle loro famiglie che i telefonini e bene che siano, un po’ come le droghe illegali, strumenti del desiderio da utilizzare possibilmente clandestinamente e/o fuori dei circuiti della vita quotidiana, e che non sono utili a progresso e cultura.

Già serpeggia tra  gli insegnanti, anche quelli che si dichiarano più liberali (nostra  informazione diretta), il convincimento che “ai ragazzi per far capire qualcosa bisogna imporglielo”. Si sprecano le interviste mediatiche a ragazzi consenzienti.

I telefonini sono invece veicoli per cultura, educazione e svago. Occorre solo non farsi sopraffare da essi, non farsi gestire da algoritmi che funzionano solo per interessi commerciali, ma gestirli grazie ad informazione/educazione che proprio la scuola dovrebbe dare, anche ai genitori.

La tecnologia, oggi poi che  siamo invasi dal “mito” dell’intelligenza artificiale, va trattata valutando pro e contro. Ché i giovani abbiano le competenze per partecipare in modo sicuro al mondo digitale e comprendere meglio cosa accade quando usano questi strumenti.

Così come veniamo alfabetizzati per comprendere scienze e culture, altrettanta alfabetizzazione ci vorrebbe per i device, sì da essere consapevoli navigatori.

Ma il nostro regime scolastico, e culturale, sembra essere  incapace in merito, a partire da se stesso. Coi minorenni, poi ha buon gioco, perché riversa su di essi, con la propria  autorità, le sue incapacità. Sostituendosi alle famiglie, ché a queste ultime spetterebbe razionalizzare i rapporti dei propri figli con l’esterno. La scuola come una grande mamma e un grande babbo. Un genitore di Stato.

Per la politica è sempre più facile vietare che non informare/educare, ma dove vogliamo andare? Alla guida della tecnologia o all’essere guidati dalla tecnologia? Se non si comincia dalla scuola…

 

 

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc