Il Novecento segna la consacrazione letteraria dello Stretto

di Andrea Filloramo

Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina – al di là della fattibilità tecnica ed economica sulla quale nessuno vieta di discutere – porta con sé una dimensione simbolica che tocca profondamente la letteratura e l’immaginario, di cui non si può non tenere conto. Esso, con i suoi miti, i suoi racconti e i suoi paesaggi, è stato per secoli non solo un luogo da superare, ma un luogo da contemplare e da raccontare.

E’ stato, quindi, una soglia simbolica che dalla classicità ai giorni nostri ha affascinato scrittori, poeti e narratori. In esso si sono condensati mito e geografia, pericolo e promessa di passaggio, memoria e identità. La sua forza narrativa nasce dal fatto di essere un “limite” che allo stesso tempo divide ma unisce: da un lato segna il confine, dall’altro apre il varco verso un altrove.

Nella letteratura antica lo Stretto si configura come uno spazio abitato dal mito.

Nell’Odissea, Omero descrive lo Stretto di Messina come il teatro del passaggio di Ulisse tra i mostri Scilla e Cariddi, un pericolo mortale dove Ulisse è costretto a scegliere se perdere alcuni compagni divorati dalle sei teste di Scilla o rischiare di perdere l’intera nave nel vortice di Cariddi. Questo episodio mitologico riflette i pericoli reali della navigazione nello stretto, dove le correnti e i vortici potevano mettere in grave pericolo le antiche imbarcazioni, ma anche il suo superamento.

Virgilio, nell’Eneide, riprende lo stesso scenario per Enea, consolidando il topos letterario dello Stretto come luogo di prova eroica. In questo senso, lo spazio geografico diventa scenario simbolico: attraversarlo significa confrontarsi con la paura e l’incertezza del destino. Nell’Eneide, lo stretto di Messina è il luogo dove Enea incontra i mostri Scilla e Cariddi, seguendo il consiglio del profeta Eleno. A differenza dell’Odissea, Enea riesce ad evitare l’incontro diretto con i mostri, scorgendoli da lontano e prendendo una rotta alternativa per aggirarli.

Se nei secoli medievali lo Stretto perde la sua centralità mitologica, continua a vivere come luogo di passaggio e di scambio.

Boccaccio, nel Decameron, ricorda Messina come porto vitale nel Mediterraneo, crocevia di mercanti e viaggiatori. Tra le tante storie, spicca quella di “Lisabetta da Messina”, ambientata nella città dello Stretto che, all’epoca, era un centro mercantile che riuniva diverse comunità di naviganti-mercanti.

Un altro lascito di Giovanni Boccaccio a Messina è una ricostruzione etimologica “artificiale” sulla toponomastica del termine “Faro di Messina”, che era il termine con il quale all’epoca si designava lo Stretto di Messina.

Come ha riferito il prof. Alessandro De Angelis, Giovanni Boccaccio, in una nota della Commedia di Dante Alighieri, specifica che: “(…) Tra Messina in Cicilia e una punta di Calavria, ch’è di rincontro ad essa, chiamata Capo di Volpe, non guari lontana ad una terra chiamata Catona e a Reggio, è uno stretto di mare pericolosissimo, il quale non ha di largo oltre a tre miglia, chiamato il Fare di Messina. E dicesi “Fare” da “pharos”, che tanto suona in latino quanto “divisione”, perché molti antichi credono che già l’isola di Cicilia fosse congiunta con Italia e poi per tremuoti si separasse il monte chiamato Peloro di Cicilia dal monte Appennino, il quale, è in Italia, e con quella, che era terraferma, si facesse isola”.

Torquato Tasso, nella Gerusalemme liberata, evoca ancora le acque pericolose dello Stretto, inserendole nello scenario epico della crociata. La dimensione geografica si intreccia così con quella allegorica: il mare e lo Stretto come prova.

Con l’età moderna lo Stretto entra anche nella letteratura dei viaggiatori. Goethe menziona lo Stretto di Messina, descrivendolo come una zona con stupende rive e un’ampia striscia di mare, il tutto accompagnato da un certo “subbuglio” (probabilmente riferito al movimento delle acque o ai fenomeni naturali come le correnti e i mulinelli) sul lato sinistro. Questa descrizione compare nei resoconti del suo viaggio in Italia, in particolare nel contesto della sua esperienza in Sicilia, e si allinea con la sua ricerca di una bellezza classica e naturale.

Patrick Brydon descrive lo Stretto come paesaggio spettacolare, ponte naturale tra Nord e Sud, Europa e Mediterraneo. Egli, dopo una spedizione a Malta, si fermò in Sicilia dove rimase molto colpito dall’eleganza della città di Messina.

Nell’Ottocento, invece, la letteratura siciliana ne recupera il valore identitario.

Giovanni Verga, pur senza farne un protagonista diretto, lo lascia sullo sfondo dei suoi racconti, come orizzonte che separa i “vinti” dal continente, simbolo delle difficoltà di riscatto.

Giovanni Pascoli descrive lo Stretto di Messina in termini suggestivi, definendolo “un luogo sacro” dove il mare e il cielo si riempiono di “voci” e “visioni”. Le sue parole, che evocano la fusione delle onde greche e latine e le sfumature cangianti del tramonto, sono diventate celebri in opere che lo collocano in un contesto di profondità mitica e poetica.  e

Gabriele D’Annunzio, invece, vi legge un riflesso della classicità: mare eroico, evocativo, che unisce natura e mito.

Il Novecento segna la consacrazione letteraria dello Stretto.

Per Salvatore Quasimodo esso diventa paesaggio della nostalgia, luogo che richiama la memoria dell’infanzia e delle radici, simbolo di appartenenza.

Ma è soprattutto con Stefano D’Arrigo, nel monumentale Horcynus Orca (1975), che lo Stretto si fa vero protagonista. Lì non è soltanto un braccio di mare, ma un universo epico in cui il mito antico di Scilla e Cariddi rivive nelle vicende del dopoguerra. Lo Stretto si trasforma in metafora della storia, della morte e del ritorno, e al tempo stesso in cuore pulsante dell’identità siciliana.

Concludendo: lo Stretto di Messina, attraversando i secoli, ha mantenuto una duplice natura: da un lato confine geografico, dall’altro scenario simbolico. È un abbraccio che ha ispirato miti, leggende, e un senso d’appartenenza che non vuole cemento per sentirsi unito. La letteratura l’ha di volta in volta immaginato come luogo di pericolo, di commercio, di nostalgia o di epica moderna. Nei miti antichi, nei resoconti dei viaggiatori, nei versi dei poeti e nella prosa monumentale di D’Arrigo, lo Stretto resta una soglia che non si limita a dividere, ma che unisce e trasfigura, custodendo il respiro profondo del Mediterraneo.