
di Roberto Malini
A cinquant’anni dalla scomparsa, Pesaro celebra il suo artista d’adozione con una mostra che è anche un atto di giustizia critica. Nino Caffè (Civitella Alfedena 1909 – Pesaro 1975), abruzzese di nascita ma marchigiano d’elezione, arrivò nella città adriatica nel 1930, immergendosi nella vivace scena artistica locale e intrecciando amicizie con pittori e intellettuali. La sua carriera espositiva era già in corso, ma il momento decisivo, quello in cui nacque il “marchio” pittorico che lo avrebbe reso celebre in Italia e all’estero, si colloca a Urbino, negli anni della guerra.
Ospite prima del soprintendente Pasquale Rotondi e poi della famiglia Benedetti, Caffè dipingeva davanti a una finestra che si affacciava sul passaggio quotidiano di seminaristi, preti e prelati diretti al Duomo. Non li rappresentò mai nell’austerità di cerimonie liturgiche: i suoi “pretini” sono giovani, vivaci, persino irriverenti. Giocano, si rincorrono, provano a stare in equilibrio sui trampoli come i saltimbanchi (anch’essi presenti nell’immaginario dell’artist)a, si affrontano a palle di neve in giornate d’inverno. Questo sguardo ironico e affettuoso divenne il cuore della sua produzione, amato dai collezionisti figurativi di tutto il mondo.
La mostra Nino Caffè. Tra naturalismo e satira, allestita nella nuova ala dei Musei Civici di Palazzo Mosca e curata da Mariastella Margozzi, raccoglie 65 opere provenienti da collezioni private e dagli eredi. È un percorso che abbraccia quarant’anni di attività, dai paesaggi e ritratti – compresa una rara natura morta – fino al corpus centrale dedicato al clero in chiave satirica. I “pretini” sono qui nelle loro molteplici varianti iconografiche, immersi in scenari urbani o naturali, tra sogni e piccoli drammi quotidiani. Ma non tragga in inganno il loro aspetto caricaturale, perché oltre – e sotto – le loro vesti si nascondono gli archetipi del Bene e del Male, come emerge, per esempio, nella sua drammatica “Apocalisse” del 1959 (Collezione Elio Giuliani).
Il successo internazionale arrivò nel 1950, quando la galleria romana L’Obelisco di Irene Brin e Gaspero del Corso lo lanciò anche oltreoceano, con una personale inaugurale nella sede di New York e l’acquisto di un’opera da parte del Metropolitan Museum. Pur conquistando il mercato americano, Caffè rimase legato a Pesaro, dove tornò stabilmente nel 1963 e dove si spense nel 1975.
Questa retrospettiva dimostra che applicare a Nino Caffè l’etichetta di “pittore di pretini” non è riduttivo, ma è l’esaltazione della sua firma, del suo particolarissimo immaginario. I suoi scorci animati da religiosi che rivelano una natura fin troppo umana sono parte di un universo complesso, capace di fondere disegno accurato, composizioni calibrate e una tavolozza calda e sensuale. Nei “pretini” c’è l’eco della sua terra d’adozione, l’ironia di un osservatore attento, ma anche la poesia di chi sa trasformare il nero severo delle vesti in una gioia di colore e movimento.
Nella foto, “Apocalisse”, 1959, Collezione Elio Giuliani