
A distanza di qualche giorno il giornale online lanuovabussola, dopo il tema dell’aborto come prima causa di morte nel mondo, affronta un altro tema di una gravità molto simile, peraltro di stretto collegamento. Mi riferisco alla questione demografica: cioè, non siamo troppi nel mondo, ma pochi. Stefano Magni (L’unico pericolo per l’umanità è la denatalità. Parola di economisti 30.7.25, lanuovabq.it) scrive che “il vero rischio di estinzione per l’umanità, l’unico prevedibile e dimostrabile, è la denatalità”. E non lo dicono docenti cattolici, che possono avere “pregiudizi” religiosi, o conservatori, con il loro “pregiudizio” nazionalista (“il numero è potenza”). Oppure Elon Musk, ritenuto un “pazzo”. Lo sostengono due economisti laici e progressisti. I due studiosi sono Dean Spears e Michael Geruso, dell’Università del Texas, con il libro “After the Spike: Population, Progress, and the Case for People”, (Dopo il picco: popolazione, progresso e l’importanza delle persone).
L’allarme dei due economisti parte da un dato reale, confermato dalle statistiche delle Nazioni Unite. Il tasso di fertilità globale (numero di bambini che una donna dovrebbe avere nel corso della sua vita) è sceso fino a 2,25, dal 2,72 dell’inizio del secolo, il dato finora più basso della storia, appena sopra il tasso di sostituzione (2,1) che mantiene stabile la popolazione mondiale. Ovviamente il tasso di fertilità è disomogeneo. Il 6,13 della Somalia non è pari allo 0,72 della Corea del Sud, la Nazione che fa meno figli al mondo, attualmente. Ma la tendenza, in tutto il mondo, è quella di fare sempre meno figli. Spears e Geruso calcolano che l’umanità raggiungerà il culmine della sua espansione attorno alla fine del secolo, quando raggiungerà i 10 miliardi di persone. Ma poi inizierà a contrarsi altrettanto rapidamente. Se tutto il mondo avesse il tasso di fertilità degli Usa, cioè 1,6, l’umanità potrebbe estinguersi del tutto entro il 2500.
In pratica i due economisti sfidano il pensiero imperante, quello della “bomba demografica”. Al pessimista Paul Ehrlich, che prevedeva un collasso economico dovuto alla sovrappopolazione, i due economisti americani oppongono dati e fatti inoppugnabili: col crescere dell’umanità, la fame nel mondo si è ridotta (in proporzione alla popolazione mondiale), il benessere si è diffuso, l’innovazione tecnologica ha visto un’accelerazione. Pertanto, “Le vere fonti rinnovabili sono le persone” dicono Spears e Geruso, perché è dalle menti umane che arrivano le soluzioni, anche per moltiplicare le risorse. Una contrazione dell’umanità, ci priverebbe di sempre più menti. Magni poi fa tre esempi che aiutano a capire come la sovrappopolazione non sia nociva neppure per l’ambiente, né per la salute umana, due concetti ripetuti molto spesso da scienziati con sensibilità ecologista. Quello della Cina, della Gran Bretagna, terzo esempio: con la crescita della popolazione indiana, attualmente la più numerosa al mondo, è cresciuta anche l’altezza media dei suoi bambini, grazie a una migliore alimentazione e a migliori condizioni igienico-sanitarie.
Demoliti i miti dell’ambientalismo, i due economisti dell’Università del Texas passano alla pars costruens, smentendo, anche qui, una serie di soluzioni facili. Si va dal caso più eclatante del regime comunista di Ceausescu in Romania, che puntava ad una natalità forzata, si apprende che nemmeno monitorando ogni donna con la polizia segreta, incentivando le nascite e punendo le donne meno fertili si riescono ad ottenere risultati apprezzabili. Nelle moderne democrazie scandinave, le più generose in termini di asili nido e di servizi per l’infanzia, il tasso di fertilità resta ancora fra i più bassi d’Europa. In sintesi: lo Stato non è di grande aiuto.
La soluzione parte, in realtà, soprattutto dalla cultura. O, come dicono i due economisti, dal senso di urgenza. Occorre superare le mille paure ingigantite dai media, dalla crisi climatica alle pandemie, fino al pericolo di inverno nucleare. Ma mai viene percepita l’urgenza di scongiurare un inverno demografico. Quindi manca la domanda stessa di una soluzione, scrive Magni, abituati ancora, come siamo, a pensare alla sovrappopolazione come un problema. E non al suo opposto. Sempre nello stesso numero del giornale esce un servizio di Luca Volontè (Demografia. I dati Istat mostrano il dramma dell’Italia che si estingue 30.7.25, lanuovabq.it) sulla denatalità in Italia con riferimento ai dati Istat. “Una estinzione sistematica – scrive Volontè – a cui nessuno ha voluto seriamente porre rimedio da 50 anni, né la politica né la Chiesa. Tutti i soggetti attivi in Italia, non solo quelli istituzionali, dovrebbero sentire l’urgenza di convergere nella ricerca di soluzioni comuni, stabili e ultradecennali che pongano rimedio economico, sostegno culturale e capitale sociale comunitario al servizio della inversione di tendenza e sostenere vita e famiglie”. Chissà se su questo tema ci sarà lo stesso impegno come quello per introdurre l’eutanasia? C’è da augurarselo, ma nutriamo poche speranze, scrive Volontè. Naturalmente la denatalità si ripercuoterà sul sistema pensionistico e sanitario. E con il processo di invecchiamento più rapido, le cose si complicano. Inoltre, l’aumento della speranza di vita e dell’instabilità coniugale fanno sì che il numero di persone che vivono da sole, vere e proprie “micro-famiglie”, cresceranno nel complesso del 15%. Paradossalmente aumenteranno le “famiglie”, in pratica, i nuclei composti da una persona sola. Questi, peraltro, sono in continua ascesa e nel 2050 costituiranno oltre il 41% del totale (rispetto al 36,8% odierno). “Famiglie di una “persona sola” è una chiara assurdità linguistica che nasconde l’ipocrisia con la quale si evitano i problemi. Un altro fattore desolante è l’aumento degli anziani che vivranno da soli. Dagli attuali 4,6 milioni saliranno in un quarto di secolo a circa 6,5 milioni. Questi dati scientifici secondo Volontè “dovrebbero allarmare chiunque sia dotato di un minimo senso di responsabilità pubblica ma anche di un sano interesse economico di parte”. L’inverno demografico avrà conseguenze devastanti per tutti, non c’è nessuno che si salva. Infatti non è necessaria una laurea in sociologia né in statistica per intuire come gli squilibri demografici tendono anche ad autoalimentarsi e così la denatalità del recente passato riduce la popolazione in età riproduttiva, che corrisponde anche alla componente più rilevante per i consumi interni, la partecipazione al lavoro, la produttività e l’innovazione. Per iniziare a invertire la tendenza di decrescita “richiederebbe un intervento massiccio da parte di governo e Istituzioni, un vero e proprio “Piano Marshall” di politiche familiari e natalità per la salvaguardia e prosperità dell’Italia e che eviti l’estinzione del nostro popolo, civiltà e cultura”. Ovviamente coinvolgendo tutta la società: mondo della cultura, mass media, educazione, terzo settore, impresa, chiese etc. Senza un rilancio sul piano demografico all’orizzonte si profila la sparizione dell’Italia non per l’assalto armato dei nemici brutti e cattivi, ma per suicidio assistito cui si vuol portare l’intera Nazione.
a cura di Domenico Bonvegna