Facciamo pochi figli? Non vogliamo immigrati? Una rinfrescata sul pensiero di Thomas Malthus

Thomas Malthus oggi viene spesso rivisitato in chiave critica e aggiornata, ma continua a influenzare dibattiti su popolazione, risorse e ambiente. Malthus sosteneva che la popolazione cresce in progressione geometrica mentre le risorse alimentari solo in progressione aritmetica, prevedendo quindi uno squilibrio inevitabile che avrebbe portato a carestie e miseria. Tuttavia, questa previsione si è dimostrata errata grazie ai progressi scientifici e tecnologici che hanno aumentato enormemente la produttività agricola e migliorato le condizioni di vita, con un calo del tasso di natalità a livello globale.

Nonostante ciò, il “neomalthusianesimo” è tornato in auge in alcune forme contemporanee, soprattutto nell’ambito delle preoccupazioni ecologiche e ambientali. Oggi, alcune politiche e ideologie che limitano l’uso di risorse energetiche fossili, la ricerca scientifica o l’agricoltura intensiva (come il bando di OGM o di medicine per le piante) possono creare situazioni di scarsità che sembrano confermare le tesi malthusiane, generando una sorta di profezia che si auto-avvera. In questo senso, il malthusianesimo moderno si lega a una specie di “misticismo ecologico” che mette in guardia contro i limiti naturali del pianeta, ma spesso con conseguenze controproducenti.

Inoltre, il dibattito attuale evidenzia come la crescita demografica non sia più il problema centrale come nel passato, dato che il tasso di fecondità mondiale è in calo e molte società affrontano l’invecchiamento della popolazione e la contrazione demografica.

Per contrastare la denatalità, gli Stati (ciascuno nei limiti dei propri confini) desiderano aumentare il tasso di natalità principalmente per ragioni economiche e sociali, tralasciando di menzionare le ragioni politiche e ideologiche.

I confini tra Stati sono rilevanti nel dibattito sulla natalità perché la crescita demografica è spesso vista come un fattore legato alla dimensione e alla sovranità nazionale. La popolazione che vive all’interno dei confini di uno Stato ne determina la forza economica, politica e sociale. Gli Stati vogliono mantenere o aumentare la propria popolazione per garantire il finanziamento di pensioni e di servizi pubblici col mantenimento della forza lavoro. La questione diventa anche politico-ideologica, perché il mantenimento della vitalità demografica nazionale è collegata all’identità e alla coesione sociale di un paese, elementi che si definiscono entro i confini nazionali. Ha anche natura geopolitica e di competizione strategica perché una popolazione più numerosa può tradursi in maggiore peso internazionale e capacità di difesa.

Il calo demografico di uno Stato e la relativa carenza di forza lavoro si può compensare adottando politiche migratorie che rinsanguino la popolazione di una società che non fa più figli.

Ma questo non è compatibile con l’attuale assetto delle politiche nazionali (non solo italiane) sulla natalità e sull’immigrazione.

Una visione più saggia vorrebbe che il sistema economico internazionale fosse regolato, basandosi su un equilibrio tra sovranità nazionale e cooperazione. Un governo globale vero e proprio non c’è e ognuno sta facendo da sé. Con i pessimi risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

 

Gian Luigi Corinto, docente di Geografia e Marketing agroalimentare nell’Università di Macerata, consulente Aduc