
L’amico Rino Cammilleri sarà stato dirompente e poco diplomatico, ma ha colto nel segno intervenendo sui cosiddetti esami di Maturità di questi giorni. Inizia ironizzando non poco sui vari consigli che ogni anno vengono liberati per ridurre la cosiddetta ansia dei poveri pargoli che devono subire la “dura” prova degli esami. “In bocca al lupo”, è quello più ripetuto, poi ci sono i vari consigli degli psicologi per combattere lo stress, e superare le notti prima degli esami. Ogni anno si ostinano a “chiamare “esame di maturità” mentre, al contempo, continuano a trattare i diciottenni –adulti secondo la legge- da bamboccioni.
E per cosa? Che cosa si è “esaminato” se alla fine sono tutti promossi, al Sud pure cum laude, tanto che, se uno viene incautamente bocciato, giustamente si sente soprattutto offeso e i genitori più di lui, tanto che subito adiscono il Tar (che dà loro ragione)? Tutti promossi, così da farci chiedere se gli esaminati pre-Sessantotto fossero in maggioranza cretini”. (Rino Cammilleri, Noi che la Maturità era una cosa seria, 19.6.25, lanuovabq.it).
A questo punto lo scrittore siciliano, racconta un episodio personale, che riguarda la sua maturità, quando si veniva interrogati su tutte le materie di tutto il liceo. “Ero, immodestamente, il primo dell’Istituto, e forse dell’intera città. Eppure, evitai la bocciatura solo perché il preside interruppe le vacanze per venire a fare una scenata agli esaminatori. Nella prova scritta di italiano mi diedero 5 (cinque!). A me, che non a caso avrei fatto nella vita lo scrittore e il giornalista culturale”. E si Cammilleri è uno scrittore cattolico che per anni ha collaborato con Il Giornale, presentando un Santo al giorno. E poi ha scritto numerosi libri quasi tutti politicamente scorretti, uno per tutti “Fregati dalla scuola”, pubblicato da Effedieffe.
La disavventura di Cammilleri agli esami di Stato, è capitata per certi versi anche al sottoscritto, sono stato svalutato, mi hanno dato il diploma con un voto appena sufficiente. Non solo nella pagella di 3° Media, nel giudizio finale, la prof di Italiano ha sentenziato che potevo frequentare a stento un istituto professionale, come dire ero buono solo per imparare un mestiere. Chi mi conosce potrà giudicare quello che ho “prodotto” in questi anni. Da undici anni sto curando un blog (l’ultima mia iniziativa) che ad oggi ha raccolto ben 978 interventi di cui almeno cinquecento sono recensioni di libri, letti e studiati, non come le recensioni di certi giornalisti che perlopiù copiano la 4° di copertina e poi dicono di avere recensito il libro.
Tornando a Cammilleri, il nostro fa qualche accenno a come è stata ridotta oggi la scuola e in particolare, il ruolo dell’insegnante, a come “il Sessantotto ha fatto naufragare tutto, tanto che, oggi, l’insegnante è l’ultima categoria dei laureati, uno che insegna perché non ha trovato di meglio, uno che te lo ritrovi con la faccia dipinta e il tamburo e il megafono alle manifestazioni di strada. Ho fatto quel mestiere per qualche anno, per sopravvivere, ma sono scappato alla prima occasione: meglio la fame”. E poi per quanto riguarda le riforme, sempre a partire dal Sessantotto, “non c’è stato ministro dell’istruzione che non abbia voluto firmare una “riforma”, contribuendo con ciò allo sfascio: pezze su una bagnarola che faceva acqua da tutte le parti, e che più ce ne mettevi e peggio era. Fino al disastrato presente”.
I miei lettori sanno quello che scrivono due esperti di scuola, Paola Mastrocola e Luca Ricolfi. “In Cina e in Giappone sostenere esami scolastici vuol dire rischiare l’infarto, – scrive Cammilleri – ma il risultato sono due nazioni di primissimo livello. In Italia il sistema educativo produce solo piattezza acritica woke, e al più ne escono furbastri da politica”. Sostanzialmente secondo Cammilleri, “siamo rimasti i soli al mondo a tenere in piedi un baraccone napoleonico fuori tempo: tutti gli insegnanti sono laureati e vanno pagati da tali, ma sono troppi, perciò li si sottopaga; in ogni caso, un aggravio spaventoso per lo Stato. In cambio di niente”. Qui lo studioso è molto drastico nel giudizio, senz’altro provocatorio: “La soluzione è fare come fecero gli ingegneri di Bonn quando Kohl riunificò la Germania: al di là del muro, o rappezzare o radere al suolo. Costava meno la seconda opzione e si ripartì da zero. Così è per la scuola italiana: va abolita.
Va abolita l’idea stessa, giacobina, che ci debba essere una scuola di Stato”. E sempre con i giudizi radicali sostiene che la scuola dev’essere tutta privata, così la concorrenza fa la differenza. “Lo Stato intervenga solo per supervedere le linee generali e per sussidiare. Così, io stesso potrei andare a contrattare il mio compenso col preside: ecco il mio curriculum, quanto mi dai se vengo a insegnare qui? Resta inteso che, se le iscrizioni non aumentano, puoi licenziarmi su due piedi. Nel Medioevo gli studenti affrontavano lunghi viaggi per poter apprendere dai migliori maestri. Infatti, hanno prodotto le cattedrali. Oggi, rapper, influencer e gaypride”.
DOMENICO BONVEGNA
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