
Il mancato raggiungimento del quorum sul referendum per l’estensione della cittadinanza è una sconfitta. Lo è per chi ha creduto in una riforma giusta e urgente. Ma lo è anche, più in profondità, per la qualità della nostra democrazia.
Il referendum sulla cittadinanza mirava a riconoscere un diritto fondamentale a tante persone che vivono, studiano, lavorano in Italia, e che si sentono italiane a tutti gli effetti. Il fatto che non si sia raggiunta la soglia minima di partecipazione, e che, tra i votanti, il quesito sia stato tra i più controversi, mostra quanto ancora il tema dei diritti sia fragile e divisivo nel nostro dibattito pubblico.
Non è la prima volta che il cambiamento si arena: negli ultimi anni, il Parlamento ha spesso rinunciato al proprio ruolo, bloccato da logiche di potere e da un crescente immobilismo. Quando poi le proposte arrivano dal basso, come con i referendum, è il sistema stesso, tra vincoli procedurali e quorum troppo alti, a rendere quasi impossibile incidere.
Eppure, non ci arrendiamo. La partecipazione che abbiamo visto crescere in queste settimane, l’impegno civile, le migliaia di firme raccolte, parlano di un’Italia che non smette di credere nei diritti e nella giustizia sociale. Questa battuta d’arresto deve essere un punto di ripartenza, non di rassegnazione.
Occorre ripensare le regole della partecipazione e costruire una nuova cultura politica che rimetta al centro la dignità delle persone. Perché i diritti non si cancellano con un quorum mancato. Si conquistano. E si difendono, ogni giorno.