GNL a Pesaro: il rischio concreto di una nuova servitù che trasformerà il nostro territorio in un’area destinata a impianti insalubri e pericolosi

di Roberto Malini

Pesaro corre oggi il rischio concreto di diventare una nuova zona di servitù industriale, un territorio dove si concentrano infrastrutture energetiche potenzialmente pericolose, come l’impianto di liquefazione di gas naturale liquefatto (GNL) autorizzato a ridosso di aree produttive e abitative. Questo rischio non è teorico. La storia urbanistica e industriale italiana dimostra come, una volta insediato un primo impianto critico, il territorio diventi terreno fertile per ulteriori installazioni. Il passaggio da area produttiva a “zona sacrificabile” è spesso rapido, poco trasparente e privo di una vera consultazione pubblica.

L’insediamento del GNL a Pesaro non è solo un caso locale, ma rappresenta una tendenza nazionale: la trasformazione silenziosa di aree periurbane in spazi subordinati a interessi industriali o energetici, anche a scapito della salute pubblica, della sicurezza e della qualità dell’ambiente. Queste zone diventano servitù moderne, dove il concetto di “utilità pubblica” finisce per sovrastare i diritti fondamentali dei cittadini. Ecco come funziona questo meccanismo.

Nelle città e nei territori italiani, le servitù industriali non sono sempre deliberate in modo esplicito: nascono per accumulo, per inerzia o per convenienza economica e politica. Tutto comincia dalla pianificazione urbanistica, con i PRG o PUC che destinano alcune aree a uso produttivo-industriale. Queste zone, col tempo, attirano sempre più insediamenti ad alto impatto ambientale, sfruttando la logica dell’“effetto calamita”: se un sito è già compromesso, ospitarvi nuovi impianti sembra meno problematico, anche se i rischi aumentano.

Col passare degli anni, questo porta alla creazione di aree a servitù di fatto, cioè spazi dove si limita concretamente la libertà e il diritto dei cittadini a vivere in un ambiente salubre. Non si tratta di servitù previste dal Codice civile, ma di situazioni in cui il diritto alla salute e alla partecipazione viene compresso per fare spazio a interessi industriali.

La normativa ambientale e industriale, dalla Direttiva Seveso alla VIA e VAS, dovrebbe impedire questi squilibri. Ma in realtà, spesso, vengono applicati in modo formale: si rispettano le procedure, ma non si considera il carico cumulativo di rischio e inquinamento. Laddove esiste già un impianto, si tende a qualificare l’area come “idonea” per altri insediamenti, anche se i residenti vivono già condizioni critiche.

Le servitù si radicano anche grazie a leggi di emergenza o semplificazioni: Sblocca Italia, decreti PNRR, deroghe ambientali o urbanistiche consentono insediamenti accelerati in nome dell’“interesse strategico nazionale”, spesso escludendo i cittadini da scelte che li riguardano direttamente.

Infine, c’è la questione della partecipazione democratica. In teoria, i cittadini dovrebbero essere coinvolti attraverso osservazioni, consulte ambientali, processi partecipativi. Ma in pratica, molte decisioni vengono prese prima del coinvolgimento pubblico, e le osservazioni tecniche o civiche vengono frequentemente ignorate o ridimensionate. Toccherebbe alle istituzioni difendere il territorio, ma spesso i suoi rappresentanti non comprendono la gravità del fenomeno o sono distratti da ambizioni politiche che li inducono a non esporsi, finché la situazione sfugge loro di mano.

Così si costruiscono le servitù: zone grigie dell’urbanistica e della giustizia ambientale, dove le esigenze economiche sovrastano i diritti costituzionali. E quando anche i sindaci vengono esautorati da decisioni prese altrove, resta alla cittadinanza organizzata — comitati, associazioni, studiosi — il compito di ricordare che ogni territorio ha valore, e ogni comunità ha diritto a decidere del proprio futuro. Tuttavia, va evidenziato come gli strumenti giuridici siano sempre più costosi e di difficile accesso e come la complessità delle normative, la natura dei decreti che agevolano i progetti per l’energia o i rifiuti, la selva burocratica dietro cui si celano le posizioni assunte dalle istituzioni costituiscano altrettanti labirinti in cui è arduo orientarsi tanto per i cittadini quanto per gli ambientalisti, gli esperti e i giuristi.