“Dopo le stragi del 1992 e le bombe dell’estate successiva, all’interno delle carceri si era creata una sfiducia nei confronti della politica di Totò Riina, una coscienza critica contro il vertice di <Cosa Nostra>, per il modo con cui l’organizzazione stava costruendo la nuova strategia della tensione. Io, in quell’estate di paura e complotto, mi trovavo nel supercarcere dell’Asinara. C’erano anche i palermitani Giovambattista e Ignazio Pullarà, gli Spadaro, i Marchese. Le mie sensazioni di disagio per quella politica sbagliata erano anche le loro, anche se non le manifestavano in pubblico. Ogni uomo d’onore cercava di mantenere un contegno davanti agli altri.
Avevamo la maturità di non far trasparire nulla dei nostri sentimenti. Tra di noi c’erano tacite intese. Però capivamo che lo Stato, davanti a quella nuova offensiva portata avanti da <Cosa Nostra>, avrebbe fatto di tutto per eliminare quegli spazi concessi, dopo enormi sacrifici, ai detenuti con il regime del 41 bis. Già l’anno precedente pensavamo che se Falcone fosse stato eliminato con due colpi di pistola, invece del gesto plateale del tritolo sull’autostrada, la ritorsione da parte dello Stato sarebbe stata più contenuta. In verità, io credo che la morte di Giovanni Falcone sia servita per mandare un messaggio in America (si riferisce agli Stati Uniti, nda). Falcone come figura in sé, di semplice magistrato, intendo, non poteva dare fastidio alla <Cosa Nostra>; anche la modalità dell’esecuzione, l’esagerazione contro di lui e la sua scorta, esula un po’ dalla caratteristica della cupola. Se avessero voluto ammazzare Falcone, avrebbero avuto tante possibilità. Ecco perché quella morte così feroce doveva servire per far arrivare il messaggio: <Inutile che voi cerchiate di fare una formazione politico – governativa che si affida ad uno stato di polizia più forte>. Erano questi, in pratica, i discorsi che facevamo tra di noi in carcere dopo la strage di Capaci. Ricordo le parole di Pullarà: <Giovanni, come mai stu gran casino, quattro colpi di fucile non erano megghiu? No, mi rispose, a bumma avia arrivare in America…>. (Giovanni come mai questo macello, quattro colpi di fucile non bastavano? No, la bomba doveva essere sentita in America…, nda). Il discorso è molto complesso. Però, se Giovanni Pullarà si sbilancia con quella frase, qualcosa di vero deve pur esserci. E poi il mafioso è così, se è arrabbiato in quell’attimo ti dice tutto. Poi magari se ne pente, ti fa una <tragedia> per camuffare la verità. Io non andai oltre nella mia curiosità, perché vedevo Giovanni molto incazzato per quella strage. E poi all’epoca mica sapevo che mi sarei pentito?”.
Gaetano Costa – ex boss di Messina