S. MASSIMILIANO MARIA KOLBE. IL CAVALIERE DELL’IMMACOLATA

Nella sua pagina facebook padre Antonello Lapicca, presenta nel giorno in cui si ricorda S. Massimiliano Maria Kolbe una straordinaria biografia curata dal più celebre agiografo italiano il sacerdote Antonio Sicari.

Il sacerdote parte dal grande gesto eroico di S. Massimiliano quando ha offerto la sua vita ad Auschwitz, riscattando con la sua carità e il suo martirio la dignità dell’uomo oppresso.

Padre Sicari precisa, “vogliamo piuttosto imparare a comprendere quel suo gesto così decisivo sullo sfondo di tutta la sua esistenza: la sua vocazione, gli ideali coltivati, l’infaticabile operosità, la ” ostinata ” missionarietà, perfino ciò che a qualcuno potrebbe sembrare ” eccessivamente integrista “, e che esprime invece la integralità della sua fede. Per non correre il rischio di staccare artificialmente la sua morte dalla sua vita”.

È importante cogliere alcuni aspetti della vita, dell’operosità di San Massimiliano. Convinto che era iniziata “L’Era dell’Immacolata”, quella in cui Maria dovrà, come dice la Genesi, schiacciare la testa del serpente.

Il giovane Massimiliano ha una concezione cavalleresca della vita, al modo degli antichi cavalieri medioevali: ma la sua dama è la Madonna.

Scrive: “Bisogna seminare questa verità nel cuore di tutti gli uomini che vivono e vivranno fino alla fine dei tempi e curarne l’incremento ed i frutti di santificazione; bisogna introdurre l’Immacolata nei cuori de gli uomini affinché Ella innalzi in essi il trono del Figlio suo e li trascini alla conoscenza di Lui e li infiammi d’amore verso il Sacratissimo Cuore di Gesù “.

  1. Massimiliano ha una devozione totale e gentile: chiama la Madonna con i nomi più teneri e familiari, come solo i polacchi sanno fare, profondamente convinto che i cristiani devono diventare “cavalieri dell’Immacolata “, e fonda una associazione. È la “Milizia dell’immacolata”, il fine dell’associazione è quello di “Cercare la conversione dei peccatori, degli eretici, degli scismatici, dei giudei ecc. e soprattutto dei massoni (parola sottolineata due volte); e soprattutto la santificazione di tutti sotto il Patrocinio e con la mediazione della Beata Maria Vergine “.

Padre Sicari è convinto che il santo polacco, oggi rischia di essere accusato anche da certi credenti ben pensanti, di integrismo. Infatti, la Milizia dell’immacolata non ha affatto un programma spiritualistico, non descrive tanto una ” opzione religiosa”, ma una scelta globale. Eccola:

” Con l’aiuto di Dio dobbiamo fare in modo che i fedeli Cavalieri dell’immacolata si trovino dappertutto, ma specialmente nei posti più importanti come:

  1. a) l’educazione della gioventù (professori di istituti scientifici, maestri, società sportive);
  2. b) la direzione dell’opinione delle masse (riviste, quotidiani, la loro direzione e diffusione, biblioteche pubbliche, biblioteche circolanti, conferenze, proiezioni cinematografiche);
  3. c) le belle arti: scultura, pittura, musica, teatro.

I militi dell’immacolata divengano in ogni campo i primi pionieri e guide nelle scienze (scienze naturali, storia, letteratura, medicina, diritto, scienze esatte ecc.).

Sotto il nostro influsso e sotto la protezione dell’Immacolata sorgano, si sviluppino i complessi industriali, commerciali, le banche.

“In una parola la Milizia impregni tutto e in uno spirito sano guarisca, rafforzi e sviluppi ogni cosa alla maggior gloria di Dio, per mezzo dell’immacolata e per il bene della comunità “.

Un programma ambizioso. Semplicemente incredibile per le possibilità di un uomo.

Nel 1927 inizia a costruire dal nulla un’intera città a circa 40 km da Varsavia. Lui ne parla come di una futura seconda Varsavia. Chiama la città “Niepokalanow”: città dell’immacolata.

In pochi anni ecco descritta la prima realizzazione:

“Una vasta area libera per la costruzione di una grande basilica dell’immacolata,

Un complesso-editoria (che comprendeva): la redazione, la biblioteca, la tipoteca, il laboratorio dei linotipisti, la zincografia con i gabinetti fotografici, le tipografie…, ed ancora i vari reparti della legatoria, dei depositi e delle spedizioni.

L’ala sinistra… comprendeva, in fabbricati distinti, la cappella, l’abitazione dei religiosi, il postulandato, il noviziato, la direzione generale, l’infermeria e, alquanto distanziata, la grande centrale elettrica. E poi, sparsi un po’ dovunque, le officine dei fabbri e dei meccanici, i laboratori per i falegnami, per i calzolai, per i sarti, nonché le grandi rimesse per i muratori e il corpo dei pompieri.

Ma non è ancora finito: c’erano il parco macchine, la piccola stazione ferroviaria con il binario di raccordo con quella pubblica e statale; previsto anche l’aeroporto con quattro velivoli e un progetto di stazione radio trasmittente. Dovunque grossi tronchi d’albero, depositi di legname, tubi e materiale edilizio di vario genere “.

La capacità di Massimiliano Kolbe di trascinare gli altri dietro questo suo ideale cavalleresco è data da queste cifre: dopo una decina di anni o poco più a Niepokalanow vivono 762 religiosi: 13 sacerdoti, 18 chierici, 527 religiosi conversi, 122 giovani aspiranti sacerdoti, 82 giovani aspiranti religiosi conversi.

Quando Massimiliano Kolbe, tornando sacerdote da Roma, aveva rimesso piede in Polonia la Provincia francescana contava poco più di un centinaio di religiosi. I religiosi di Niepokalanow devono essere poverissimi ma avere a disposizione quanto di meglio c’è sul mercato: dall’aereo alle rotative ultimo modello.

I frati di Massimiliano sono capaci di tutto: dall’organizzare il corpo dei pompieri a prendere il brevetto di pilota, a studiare per diventare direttore d’orchestra in modo da poter curare personalmente la registrazione di dischi, a imparare i sistemi di regia cinematografica.

  1. Massimiliano Kolbe che fonda, e dirige per i primi anni, questa enorme comunità, e ne resta sempre l’animatore, è descritto così:

“Era tenace, ostinato, implacabile… Era un calcolatore nato: calcolava e raffrontava senza posa, valutava, fissava, combinava bilanci e preventivi. Se ne intendeva di tutto: di motori, di biciclette, di linotype, di radio; conosceva quello che costava poco e quello che costava molto; sapeva dove, come e quando era opportuno comperare… Non c’era sistema di comunicazione troppo veloce per lui, il veicolo del missionario, diceva spesso, dovrebbe essere l’aereo ultimissimo modello”.

La vita dell’intera comunità, invece, da P. Massimiliano Kolbe è descritta e spiegata con queste parole:

“La nostra comunità ha un tono di vita un pochino eroico, quale è e deve essere Niepokalanow se veramente vuole conseguire lo scopo che si prefigge, vale a dire non solo di difendere la fede, di contribuire alla salvezza delle anime, ma con ardito attacco, non badando affatto a se stessi, conquistare all’immacolata un anima dopo l’altra, un avamposto dopo l’altro, inalberare il suo vessillo sulle case editoriali dei quotidiani, sulla stampa periodica e non periodica, sulle agenzie di stampa, sulle antenne radiofoniche, sugli istituti artistici e letterari, sui teatri, sulle sale cinematografiche, sui parlamenti, sui senati, in una parola dappertutto sulla terra; inoltre vigilare affinché nessuno mai riesca a rimuovere quei vessilli.

Allora cadrà ogni forma di socialismo, di comunismo, di eresie, gli ateismi, la massoneria e tutte le altre simili stupidaggini che provengono dal peccato… Così io mi immagino Niepokalanow “.

In questa nuova ” città ” sì stampano otto riviste per parecchie centinaia di migliaia di copie. (La maggiore tra esse, “Il cavaliere dell’Immacolata”, tocca in quegli anni il milione di copie. P. Massimiliano prevede traduzioni in italiano, inglese, francese, spagnolo e latino).

In questa città abiterà pochissimi anni. Nel 1930 è in Giappone dove

fonda dal nulla una città analoga e la chiama “Il giardino dell’immacolata”.

Un autore che è critico verso l’opera di Kolbe scrive: “Mirava né più né meno che a conquistare il mondo. Per questo andò a convertire i ‘pagani’ in Giappone; per questo ampliava incessantemente le sue editrici, fondava monasteri, sognava piani per estendere a tutto il mondo la Cavalleria dell’immacolata.

Tutte queste opere, concepite su scala gigantesca, le creò quasi dal nulla. Senza un soldo in tasca, questuando incessantemente col proverbiale saio rappezzato. Era un fenomeno di energia e di talento organizzativo. Intraprendeva ogni iniziativa letteralmente con le proprie mani. Mescolava la calce e portava i mattoni nel cantiere, lavorava alla cassa di composizione in tipografia. A Nagasaki intraprese l’edizione della versione locale de ‘Il Cavaliere dell’Immacolata’ senza sapere una parola di giapponese…”.

Padre Sicari è più preciso sull’ideale missionario del santo polacco.

“Bisogna inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di carta scritta con parole dì vita per ridare al mondo la gioia di vivere”.

La teologia di P. Kolbe era radicale e senza mezzi termini. Ecco come la sintetizza un suo biografo:

“Si ostinò a credere, a dire, a scrivere che la verità è una sola, quindi un solo Dio, un solo Salvatore, una sola Chiesa; gli uomini, tutti gli uomini, di conseguenza, sono chiamati a aderire ad un solo Dio, ad un solo Salvatore, ad una sola Chiesa.

A quell’ideale consacrò e immolò la sua vita di missionario della penna, come amava definirsi”.

È questo l’uomo su cui si abbatté la furia nazista. Fu arrestato più di una volta

“Diventa il n. 16670. Comincia tirando carri di ghiaia e di sassi per la costruzione di un muro del crematorio: un carro che doveva essere tirato sempre correndo. Ogni dieci metri una guardia con un bastone garantisce la persistenza del ritmo. Poi a tagliare e trasportare tronchi d’albero. A lui, perché prete, toccava un peso due o tre volte superiore a quello dei suoi compagni. Lo vedono sanguinare e barcollare. Non vuole che gli altri si espongano per lui. “Non vi esponete a ricevere colpi per me. L’immacolata mi aiuterà, farò da solo“.

Poi venne quel giorno in cui i nazisti decisero di punire i prigionieri perché uno era fuggito dal campo. Per un prigioniero fuggito dieci condannati a morte nel bunker della fame. Un condannato al pensiero della moglie e dei figli grida. A un tratto il miracolo. P. Massimiliano esce dalla fila, si offre in cambio di quell’uomo che nemmeno conosce. Lo scambio viene accettato. Il miracolo per intercessione di P. Kolbe, Dio lo compie in quell’istante. Padre Sicari racconta l’episodio, offrendo ai lettori diversi raccapriccianti particolari sul trattamento disumano dei poveri infelici. “Lo scambio, con la sua affermazione di scelta e di libertà e di solidarietà, era tutto ciò contro cui il campo di concentramento era costruito. Il campo di concentramento doveva essere la dimostrazione che ” l’etica della fratellanza umana “era solo vigliaccheria. Che la vera etica era la razza, e le razze inferiori non erano” umane”.

Giovanni Paolo II, predicando ad Auschwitz, ha detto:

“In questo luogo che fu costruito per la negazione della fede, della fede in Dio e della fede nell’uomo, e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore ma tutti i segni della dignità umana, dell’umanità, quell’uomo (il P. Kolbe) ha riportato la vittoria mediante l’amore e la fede”.

La biografia del teologo si conclude, sottolineando due aspetti degli insegnamenti del martirio di P. Kolbe: uno torna dal suo martirio alla sua vita, l’altro va dalla sua vita al suo martirio.

Nel primo insegnamento P. Kolbe ci dice che rispondere alla disumanità con l’offerta e il sacrificio di sé non è la risposta di chi non sa fare altro, di chi si rassegna e cede all’oppressore, di chi attende tutto dall’al-di-là e perciò può subire.

  1. Kolbe ha dato la vita, accettando di morire, dopo che aveva spese tutte le sue energie per la costruzione di un mondo diverso, di un mondo nuovo, di un centuplo quaggiù. Il martirio non fu una fuga devota. Fu la pienezza della sua energia vitale.

Nel secondo insegnamento P. Kolbe ci dice che la stoffa di cui sono fatti i martiri non è quella di chi nella sua vita si è divertito col pluralismo e con l’irenismo ad ogni costo, anche se li chiama ” dialogo ” ed ” ecumenismo”.

  1. Kolbe definiva la fede con una nettezza impressionante, e con altrettanta decisione la propagandava e la voleva incarnare in tutti gli spazi della vita culturale e sociale; e seppe avere tanta carità da essere il primo “martire della carità”. Proprio con questo titolo, mai utilizzato prima, è stato canonizzato da Giovanni Paolo II

Ma chi, in nome di una pretesa carità cristiana, annacqua la fede e la rende culturalmente inincidente e irrilevante nella storia è sicuro d’avere proprio quella carità che abilita a dare la vita?

Questa è la domanda seria che discrimina tutti gli atteggiamenti dei cristiani e li giudica. La fede e la carità esigono, ambedue, forza e decisione, e crescono assieme con lo stesso coraggio.

 

A cura di Domenico Bonvegna